Un treno regionale che annusa di sudore e sigarette spente.
Un uomo di 50 anni, barba da eremita, occhi gonfi di vino e rimpianti.
Di fronte, una ragazza di 17 anni, capelli blu e auricolari appesi al collo come un’ammissione di resa.
Lui bofonchia, rallentato e strascicato, un discorso di fine mondo:
«La vita è come un cesso otturato. Giri la leva, ma invece di scivolare giù, tutto risale. Io affondo e l’unica spinta che sento è quella di andarmene per sempre.»
La ragazza va al dunque:
«Papà, hai vomitato sul mio zaino.»
«Ecco, vedi? La società ci impone di contenere i fluidi. Ma il vomito è l’ultimo atto di libertà. Un manifesto anarco-esistenziale. Che male di testa!»
Poi l’uomo, barcollando come un pendolo, si sposta all’altro vagone:
«Mi uccido. No, aspetta, no. Lo faccio per la nonna. E per te. No, per il cane che non abbiamo mai avuto. La vita è un puzzle, ma io ho perso i pezzi…quando…quando è arrivato l’euro.»
La figlia lo raggiunge:
«Se ti butti, io devo compilare il modulo per il trasporto della salma. E non ho il codice fiscale.»
Lui piange:
«Hai ragione. Sono un fallimento dro…idro…drinamrico. Ma tu…tu sei la mia spinta di rimbalzo. La mia legge di Archimede. A me m’ha rovinato l'euro e la fragilità della ragione. Nah, fanculo la ragione. Sono più ‘mbriaco della mia…nun me ricordo.»
La figlia lo abbraccia, tentando con maestria e gran dignità di tenere insieme un impero di crepe:
«Dai, vecchio. Andiamo a casa. Ti faccio una camomilla e cerchiamo i pezzi del puzzle nel divano.»
(A. Battantier, Memorie di una dipendenza, Memorie di un amore, Mip Lab, 6/25)
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