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IL GIORNO IN CUI TORNAI A COMBATTERE

IL GIORNO IN CUI TORNAI A COMBATTERE. "20 anni fa, all'età di 50 anni, mi dissero che avevo un cancro. Io, ch'ero già incazzato di mio con il mondo, alla notizia replicai fottendomene di tutto e tutti. In contrasto con i medici e gli amici e le persone care, presi a fumare il doppio, iniziai a bere, a guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere come è facile morire. Con mio padre avevo sempre avuto un pessimo rapporto. Se n'era andato con un'altra ch'io avevo 14 anni. A stento lo salutavo. Quando seppe del mio male da mamma, prese a chiamarmi, ed a passare a trovarmi nel mio studio. Mi dava il culo che si faceva vivo solo adesso: 'a papà ma che ti faccio pena? Mantanavai!???'. Ma lui era capoccione, e mi portava i fritti, qualche libro suo, foto ricordi di quando eravamo piccoli io e soreta. Io non me lo filavo. Di nascosto lo osservavo, ma dentro covava tutta la mia rabbia. Un pomeriggio di febbraio, ricordo che iniziò a piovere di brutto, tuoni da far spavento, proprio mentre lui mi dispensava saggi consigli sull'affrontare il male. Io godevo della pioggia che sbatteva ignorantemente sulle finestre e sul tetto, confondendo quegli assurdi discorsi del cazzo. Proprio lui che non mi aveva mai inculato di pezza. Ad un certo punto, così, senza dir niente, mi prese una voglia irrefrenabile e me ne uscii sotto alla pioggia. Volevo prendermela tutta, in maglietta, felpa e scarpe-ciabattose da casa. Iniziai a camminare di gran passo lungo viale delle milizie. Zuppo, zuppo. Lampi, tuoni da far spavento, pozzanghere di 1 metro d'acqua. Ad un tratto sentii suonare il clacson, mio padre mi aveva raggiunto, costeggiando il marciapiede in macchina. Avete presente quelle scene con il protagonista inseguito da qualche disperato che vuole aiutarlo? Io non gli prestavo attenzione, concentrato sull'ebbrezza d'esser l'unico coglione a Roma sotto a quell'assurdo diluvio. Mio padre abbassò il vetro e mi urlò: 'Sali in macchina!!!'. Ed io: 'Perché se mi bagno, poi che succede, mi rovino?". E lui di rimando, serio: 'Certamente, ti ammali, ti prendi la febbre e ti indebolisci. Dobbiamo essere fortissimi per vincere!! Forza, sali su!!'. Io, dal canto mio, non so che mi prese. Senza pensarci, aprii la portiera, solo dissi: 'Ma ti bagno il sedile!'. E mio padre: 'Perché se lo bagni, poi che succede, si rovina?'. Da quel giorno mi scattò una molla, e tornai a combattere". (Memorie di un amore, A. Battantier, 2007). "Un perché forte può superare qualsiasi come! E la forza arriva quando non c'è soluzione". (lib. Nietzsche).

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SPESSO IL PUNTO DEBOLE DI UNA PERSONA È SEMPLICEMENTE UN'ALTRA PERSONA

"Ci piaccia o non ci piaccia, l'Altro ha un altro Altro. Talvolta giungiamo a vederlo, ma ci vogliamo illudere che sia sempre lo stesso.  E invece è l'Altro dello Stesso.  Ma lo Stesso non è più lo stesso.  È anche qualcos'altro: l'Altro.  Questo vale anche per noi, ci piaccia o non ci piaccia". (M. Thompson Nati, Paradoxes of ego,1995) "Tu hai ciò che sei.  L'essere si può modificare.  Non farti portare dai tuoi sogni.  Conduci i tuoi sogni alla realtà del tuo essere" (Lao Bu Shem)

LETTERA ALL'AMICO IMMAGINARIO

LETTERA ALL'AMICO IMMAGINARIO. "Caro amico speciale, è da tanto tempo che ci conosciamo, e anche se ora ho quasi 30 anni, io di te continuo a fidarmi come quando avevo 4 anni. Ricordi? Avevo paura la notte, temevo il mostro Pallone, e allora, per farmi forza t'invocai, e tu arrivasti con la spada del manga mio preferito. I miei erano contenti, finalmente non dovevano più alzarsi di notte, perché tanto c'eri tu. Oddio, a dire la verità, i miei non si scomodavano nemmeno prima, ecco forse perché poi sei arrivato tu. Ti ho chiamato Ted, ma il tuo secondo nome era Guardiano. Poi alle medie diventasti Guardian e Warrior, sai, stavo imparando le lingue. Quello che mi ricordo è che io non volevo proprio che ti scoprissero, e non ne parlavo con nessuno. Sono stato bravo vero? Quando parlavo tra me e me, e mi dicevano: "Con chi parli Alfredo?". Io li fregavo sempre, rispondendo: "Parlo tra me e me", ma mica ti tradivo. Poi per fortuna ho scoperto alle elem

CHI TROPPO MOLTO NULLA NIENTE

CHI TROPPO MOLTO NULLA NIENTE. "Che poi è il problema mio. Io voglio tanto troppo e alla fine non ottengo nulla. Forse dovrei accontentarmi, ma non nel senso del rassegnato. Bu, non so. Forse quello che ho mi dovrebbe bastare per darmi la carica per andare avanti senza soffrire per quello che non ho. Insomma me sò incartato. Voglio dire, dovrei usare quello che ho per andare avanti, altrimenti resto sempre a mani vuote, con questo senso di lamentela e di tristezza che mi assale perché non ho le cose, perché non ho raggiunto me stesso. Ma me stesso eccolo, son io, son qua. Ho  problemi con il concetto di fallimento, perché tante volte mi sono trovato ad intraprendere dei percorsi. Per poi finire nei burroni del fancazzismo, nelle selve delle indecisioni perenni. Non mi ero mai chiesto però quanto dipendesse da me, e dalle mie posizioni iniziali, ovvero volere la luna senza neanche essere sceso dal letto. Vuoi qualcosa? Inizia a trovare le ciabatte, inizia a vestirti, in

Mi chiamo Andrea Giovanni Battantier, psicologo in un Consultorio

(Dedicato a mio padre e al papà di Antonio Leotti) Me ne sono andato pensando all'errore di lasciare solo mio padre, Antonio Gennaro Battantier, nato a San Casciano dei Bagni, agricoltore, uomo retto e gran lavoratore. Ho cercato per anni la perfezione, seminando errori, che poi ho coltivato, cucinato e mangiato. Mio padre da me si aspettava ben altri raccolti. Mi chiamo Andrea Giovanni Battantier, psicologo in un Consultorio, e sono ossessionato da mio padre, che un bel giorno lascia tutto in campagna e si mette a cercarmi, finendo barbone. E' stata mia la colpa? Io me ne partii per rinascere uomo. Lui per morire da bambino che non fu. Mio padre che non mi parlava, e mi scriveva belle lettere con la sua penna antica. Io leggevo quei pesanti fogli e sì, mi commuovevo, ma mai una volta poi trovai il coraggio di rispondere. Io parlavo bla bla bla, e lui scriveva ccccccccccc. Io un bel giorno lo trovai sulla panca del mio Consultorio, con la barba e quel suo essere ormai sperso e