IL RISULTATO DI CIÒ CHE LA VITA CI HA DATO E TOLTO (Ciò che ci manca, ciò che ci è stato negato, diventa l'ossessione che ci scolpisce. Non siamo ciò che abbiamo ottenuto, siamo la forma precisa del nostro vuoto più intimo. Ciò che chiamiamo "tolto" potrebbe essere la necessità di un altro percorso. Il risultato è la chiamata del carattere, a volte attraverso la privazione)
Un fiume è il risultato della pioggia che ha ricevuto e dell'evaporazione che ha subito. Siamo il risultato di ciò che la vita ci ha dato e tolto? La vita ci dà l'innocenza e poi, con meticolosa crudeltà, ce la toglie. Quel che rimane, il nostro carattere, è il fango secco dopo che la piena si è ritirata.
Siamo sopravvissuti, siamo il risultato di una lunga, ininterrotta, serie di sciocchezze. La vita ti dà aspettative irragionevoli e poi ti toglie la dignità mentre cerchi di raggiungerle.
Ti dà l'idea dell'amore e poi ti toglie l'illusione ma ti svegli un poco più amareggiato ma più sincero. Ti dà la giovinezza e te la porta via senza nemmeno lasciare un biglietto. Il "risultato" è un cumulo di nervi scoperti e di meccanismi di difesa così complessi che neppure (specialmente!) chi li ha capisce come funzionano.
È nel "tolto" che si annida il motore della sofferenza. Ciò che ci manca, ciò che ci è stato negato, soprattutto in termini di desiderio e di identità, diventa l'ossessione che ci scolpisce. Non siamo ciò che abbiamo ottenuto, siamo la forma precisa del nostro vuoto più intimo.
Certo, sembra una visione un po' passiva, no? Sembra che siamo vasi da riempire e svuotare. Io direi che siamo il risultato di ciò che la vita ci ha dato, ciò che ci ha tolto, e della nostra abilità nel raccontarci storie su entrambi i processi. La psicologia, per qualcuno, è l'arte di trovare colpe nei genitori per quello che ti ha tolto, e meriti in te stesso per quello che ti ha dato.
La vita non è il grande capo lassù che distribuisce caramelle e schiaffoni. Ciò che ti dà sono problemi e ciò che ti toglie sono le soluzioni. Negli ultimi tempi ho trovato il modo di ridere delle cose più dolorose che avevo, così gli altri hanno riso con me e per un attimo non ha fatto più male. Funziona? Per un attimo.
Alle volte si fanno i bilanci. Il risultato è un organismo un po’ stanco, saturo di ormoni e delusioni. La vita ci dà il desiderio e poi, ci toglie ogni possibilità di soddisfarlo in modo duraturo. Ci condanna a cercare altrove (anche in un altro corpo) una risposta che non arriverà mai. Siamo il prodotto di questa equazione biologica senza soluzione: il bisogno di amare e l'impossibilità di essere amati per ciò che siamo veramente, cioè un ammasso di bisogni.
Siamo il risultato di ciò che gli altri ci hanno dato e di ciò che si sono presi. Uno sguardo, un complimento, un tradimento. Siamo creature di dialogo, anche se i dialoghi avvengono, per lo più, nelle nostre teste. Quello che ci è stato tolto sono spesso le parole che avremmo voluto sentire e quelle che non abbiamo avuto il coraggio di dire.
L’altra notte ho sognato che cercavo di costruire (con le palette e il secchiello dei bimbi in spiaggia) una casa con i mattoni che mi lanciavano (sconosciuti) e i ladri mi rubavano l'intonaco. Alla fine, la casa era storta, piena di buchi, ma aveva un aspetto così comico e unico che in qualche modo mi piaceva e non volevo ridarla indietro.
A volte la vita ti dà proprio quello che vuoi, solo per dimostrarti che è quella la cosa che ti rovinerà. E ti toglie proprio quello di cui hai bisogno, per costringerti a scoprire che non ne avevi bisogno. Insomma, sei fregato se capisci, e fregato se non capisci.
In molti ci descriviamo scorrere nella precarietà. Siamo navigatori di un flusso continuo di acquisizioni e perdite. L'identità non è un prodotto finito, ma il momento fugace di un bilancio sempre provvisorio tra ciò che ci è stato conferito e ciò che il fluire del tempo e delle relazioni ci ha eroso.
E’ "l'equazione privata" dell'individuo. Alfred Adler scriveva che ciò che ci viene dato -e soprattutto ciò che ci viene tolto, le percepite menomazioni- forgia il nostro Sentimento di Inferiorità. Tutta la nostra psicologia successiva è il risultato dello sforzo di compensazione o sovracompensazione per quel "tolto", per quel vuoto originario.
Vedo ogni uomo come un ambiente unico, un'atmosfera. Quello che la vita dà e toglie sono le intemperie che modellano questo paesaggio interiore. A volte un trauma, un "tolto" improvviso, è come un'inondazione che cambia per sempre il corso del fiume dell'anima. Il compito è capire, senza giudizio, quel paesaggio devastato.
E dobbiamo sempre ricordare che ciò che la vita "dà" e "toglie" non è un processo equo o giusto. Le ingiustizie sociali, la guerra, la povertà danno troppo poco e tolgono troppo, troppo presto. La psicologia di un individuo non può essere scissa dalla psicologia della società che lo ha plasmato, spesso con violenza. Il "dato" e il "tolto" sono funzioni del potere. Il potere decide quali opportunità distribuire (il dato) e quali diritti erodere (il tolto). L'individuo interiorizza queste dinamiche, fino a credere che la sua mancanza sia un fallimento personale e non il risultato calcolato di strutture sociali oppressive.
Penso alla leggerezza da bambino, l'irresponsabilità dell'infanzia. E penso al peso che la vita, inevitabilmente, ci aggiunge: ricordi, rimpianti, amori, perdite. L'essere umano oscilla per tutta la vita tra la nostalgia per la leggerezza perduta (il "tolto") e l'orrore per il suo vuoto. Il "risultato" è il tentativo di sopportare il peso, rendendolo significativo.
A volte, ciò che la vita toglie è così immenso -una persona, una verità- che il risultato non può che essere un silenzio abitato. La psiche si ricostruisce attorno a quel vuoto come una pianta cresce attorno a un filo spinato. Portandolo dentro per sempre.
Si impara a sopravvivere alla sottrazione. Si impara a fare a meno. Della tenerezza, della fiducia, delle parole. Il risultato è una persona semplificata, essenziale, come un osso scarnificato. Dura e fragile allo stesso tempo. La mancanza non ti indebolisce, ti cambia la sostanza.
Forse il "risultato" è semplicemente una collezione. Un museo privato di oggetti dell'anima: qui una teca con ciò che abbiamo ricevuto (l'amore, un talento), lì uno spazio vuoto, ben pulito, con un cartellino che spiega ciò che è stato rubato (l'innocenza, una persona). E noi siamo i custodi di questo museo, a volte orgogliosi, a volte pieni di rabbia, amarezza, malinconia.
E la psicologia è la mappa per navigare quelle perdite necessarie. Perché molto di ciò che la vita "toglie" -l'onnipotenza infantile, l'idea che i nostri genitori siano perfetti, l'immortalità- doveva essere tolto per farci crescere. Il dolore è per ciò che perdiamo, la saggezza è per ciò che guadagniamo nella perdita.
La vita ci dà l'ignoranza e, attraverso l'esperienza, ce ne toglie un poco. Il risultato (ideale) è un individuo che capisce di sapere poco, ma che ha imparato a sopportare questa condizione senza ricorrere a certezze dogmatiche. La frustrazione del "tolto" -la certezza- è il motore della conoscenza.
E poi, non basta dire "ciò che la vita ci ha dato e tolto". Dobbiamo chiederci: a chi è stato dato? A chi è stato tolto? Non siamo un contenitore passivo. L’anima la vedo come un'attiva ricetrasmittente di destini. Ciò che chiamiamo "dato" potrebbe essere il daimon che si manifesta; ciò che chiamiamo "tolto" potrebbe essere la necessità di un altro percorso. Il risultato è la chiamata del carattere, a volte attraverso la privazione.
Anima o non anima, alla fine, il "risultato" è il corpo. È lì che si inscrivono tutte le concessioni e tutte le sottrazioni. È il documento definitivo, il romanzo che non possiamo negare. Il corpo gioioso per ciò che ha ricevuto, il corpo sofferente per ciò che è stato portato via, il corpo morente che restituisce tutto.
Prossimamente vorrei fare un altro sogno: un uomo realizza, senza alcuno sforzo della mente, che non è quel risultato, non è la somma delle cose accumulate né il lutto per le cose perdute...un uomo realizza che il "dato" e il "tolto" appartengono al regno del tempo, del divenire, mentre lui è al di là di tutto ciò...nuvole, aria leggera, una libertà assoluta. Allora quella frase non ha più peso. Allora quell’uomo è libero di essere, semplicemente.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, Laboratorio Maggio 25, Art by Llilybris-Cecilia Roda)
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