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SPEZZÒ IL PANE

Nelle ombre del crepuscolo il parco cittadino si staglia come un’oasi di apparente serenità in un mondo caotico di traffico tumultuoso.

Ma era all'alba che Torello iniziava la pulizia del parco nel vecchio stile di ramazza e bidone su ruote, eliminando le tracce lasciate da chi lo attraversava.

Torello si aggirava tra le foglie cadute, muovendosi con precisione meticolosa, raccogliendo detriti e scarti, osservando intorno a sé un mondo che si rispecchiava in diverse sfumature di solitudine. 

O almeno così sembrava a lui che alla solitudine aveva eretto un tempio.

Torello aveva poco più (o meno chissà) di 50 anni, un'anima smarrita tra le pieghe del tempo. 
Alto e magro, la barba sfatta conferiva al suo volto un'aria di trascuratezza. 

Viveva in una stanza a casa con sua madre, la solitudine era una fedele compagna. 

La madre era l'unica figura che attraversava la sua routine silenziosa.
Si incontravano a pranzo e a cena, brevi attimi di condivisione, passami il sale, acqua non quella...la frizzante che non lo sai?...e se non ti piace aggiungi il brodo.

La madre, avvolta dall'aura bluastra della televisione, viveva in un mondo parallelo, lasciando che le voci dei protagonisti intrecciassero la tela della sua esistenza. 

Torello, invece, si accompagnava alla radio, cercando di imparare a parlare sempre meglio, sperando che le parole potessero un giorno costruire un ponte verso il mondo esterno.
Nelle notti solitarie i suoi sogni erano popolati da un tanto agognato diploma.

Gli occhi stanchi si illuminavano di determinazione mentre studiava ragioneria. 
L'esame finale rappresentava per lui la speranza di una vita diversa, di un riscatto che potesse affrancarlo dalla monotonia della sua esistenza. Bene che andava sarebbe finito in un ufficio a vidimare carte invece che a buttarle.

Ma Torello in quel parco aveva una missione, scrutare il mondo che si muoveva intorno a lui. Cercava di comprendere l'animo umano, forse per sfuggire alla sensazione di essere un estraneo in una realtà così distante.

L'odore della terra bagnata e il canto dei primi uccelli lo guidavano per i vialetti, tutto diveniva un'occasione per riflettere su un senso di smarrimento che sembrava dilatarsi nell'anima della città stessa.

C'erano i passanti che camminavano in fretta, occhi fissi sullo schermo dei telefoni. 
Torello non giudicava. Lui stesso si sentiva estraneo, un'anima che aveva scelto di ritirarsi ma che continuava a scrutare il mondo intorno a sé. 

Ma il tempo cambia ogni cosa ed il parco aveva i suoi nuovi visitatori. 
C'erano gruppetti di ragazzi che si radunavano, cercando di apparire uguali, stesse scarpe, tute, cappelli, come la sua divisa.
Sei o sette su una panchina, gli occhi fissi sui cellulari. 
Altri, invece, strappavano rami dagli alberi senza alcun rispetto.
Altri ancora mettevano girini nei palloncini d'acqua, solo per tirarseli addosso in un gioco crudele.
E così, mentre altri ragazzi saltavano sulle panchine, rompendo le doghe di legno, Torello rimaneva lì, un testimone silenzioso di questo finale di mondo. 

Nel suo mondo fatto di gesti semplici e osservazioni acute, lui sapeva che la solitudine era un filo invisibile che legava tutti. 

Era in quei momenti che la sua mente vagava. 

"Abbraccia una passione forte, foss'anche come faceva la mia vicina", pensava, sorridendo a quel ricordo sbiadito. 
La donna, ora parte di un mondo che stava scomparendo, portava ogni giorno cibo ai pesci e ai piccioni del parco. 
Era una passione pura, senza secondi fini.
La passione, l'arte di portare avanti qualcosa di forte e di profondo, questo avrebbe per lui salvato il mondo. 

Torello si disse che prima o poi avrebbe trovato il coraggio di spezzare questo isolamento. Prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi pesci e piccioni, e disse: 
Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio corpo. 
E si mise a ridere come il bambino di campagna che era stato.
Ormai non era solo, aveva preso il posto della signora Merelli.

Ora, durante quelle ore dedicate a dare da mangiare ai pesci nel laghetto e ai piccioni che si posavano sulle sue spalle, il mondo sembrava prendere un ritmo differente.

Gli animali sembravano impazzire per la gioia, saltavano i pesci portando giù i tozzi di pane, ed i piccioni si posavano sulle sue spalle, talmente erano tanti su di lui che sembrò prendere il volo in questa improvvisa ed inaspettata leggerezza.
 
(A. Battantier, 2023)


***
UN MOMENTO (LO SGUARDO DEL PICCIONE)

Questo momento è nostro, chi si ferma, per un momento ha lo sguardo del piccione.

Gonfio di pane guarda il vuoto. 
Vola pesante, lotta e fa l'amore. 
Dorme la sera, gli occhi chiusi, aspetta l'alba. 
E vola cerca il pane e vola piano e cerca il pane, lotta e fa l'amore,
e dopo guarda il vuoto.

(A. Battantier, 1990)

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