SCHEGGE DI UNO SPECCHIO (La demenza è una morte lenta, il corpo sopravvive alla mente, e chi resta deve guardare il fantasma di chi amava)
La mente è un labirinto di specchi. Quando si infrangono, non resta che camminare sui vetri.
La prima volta che mi accorsi che mia madre non era più mia madre io non me la ricordo. Ma, poco a poco, Il suo sguardo, un tempo acuto e indagatore, si era annebbiato, come se dietro quelle pupille si fosse posata una coltre di nebbia perenne.
La donna che mi aveva cresciuto con ferrea determinazione, che aveva lottato contro tutto e tutti, ora sedeva immobile sulla poltrona, le mani inerti sulle ginocchia, la bocca semiaperta in un’espressione vuota.
"Mi riconosci?" le chiesi, afferrandole le mani.
Le sue dita, un tempo abili a lavorare, cucire, a scrivere, a stringermi con forza, erano diventate fredde, inerti.
Mi fissò senza vedere, o forse vedendo qualcosa che non esisteva più.
Un sorriso incerto le sfiorò le labbra, un riflesso condizionato di ciò che era stata.
La demenza è una morte lenta, il corpo sopravvive alla mente, e chi resta deve guardare il fantasma di chi amava.
Mia madre era stata una donna forte, passionale, a volte crudele. Aveva amato e odiato con la stessa intensità.
Ora, tutto ciò che rimaneva di lei era un guscio, un involucro vuoto dove i ricordi galleggiavano come relitti in un mare in tempesta.
Forse non siamo mai stati davvero interi, forse siamo sempre stati solo frammenti tenuti insieme dalla paura di disintegrarci.
Epperò ogni visita era una tortura. Ogni sua parola senza senso, ogni sguardo perso nel vuoto, mi lacerava.
Mi chiedevo: "Dov’è finita lei? Esiste ancora da qualche parte, intrappolata in quel cervello che si sgretola?"
No. È solo carne che marcisce prima di morire. Ma quel dolore è un fiume che scorre dentro, e noi siamo solo rive che cercano di contenerlo, e non c'è la facciamo nonostante le ipocrisie e i convenevoli.
La vita è un gioco di perdita. Più accumuli, più devi lasciare andare, e la vecchiaia è una grande livellatrice, prima di quell'altra Signora: Non importa chi eri, diventi solo un corpo da pulire e nutrire.
Facile per il medico che pure amorevolmente ci assiste: "Prepariamoci...noi siamo dati. Quando il cervello si cancella, il file si corrompe."
Io all'alba, ormai sveglio da ore, cerco di darmi una speranza, ripetendomi che il significato sta nella lotta, non nel risultato.
È un altro giorno. Ma poi mi correggo, con Manuela del bar: No, il significato sta nell’accettare che non ce n’è uno.
Ed io, seduto accanto a lei, stringevo quella mano che non mi stringeva più, e pensavo:
"Tutto ciò che è stato, tutto ciò che ha amato, odiato, desiderato… dov’è finito?"
Alla fine siamo solo 'connessione neuronale'. Tolta questa connessione, non siamo più nulla. Non abbiamo più le esperienze, i ricordi che hanno fatto di noi quello che eravamo. Tolta quella connessione tra i vari pezzi della nostra vita… non siamo più noi. Non esistiamo più. Brancoliamo tra frammenti taglienti come schegge di uno specchio rotto che rifletteva la nostra immagine.
Ma io mi ricordo…quando eravamo piccoli, non eravamo altro che riflessi di quello specchio. E da grandi, il prodotto di quello. Cosa ti voglio dire? Ama. E ama. Il significato sta nell'amore, non nel risultato. È un altro giorno.
E così, mentre il sole filtrava dalla finestra, accarezzando quel volto che non mi riconosceva più, mi chinai e la baciai sulla fronte. Perché non restava altro da fare.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, 5/25. A Fabiana Recano e Patti Cimmino)
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