VI RACCONTERÒ UNA FIABA: C’ERA UN PAESE CHE INSEGNAVA AI BAMBINI A UCCIDERE. POI UN GIORNO, I BAMBINI CREBBERO. FINE. (La scuola come base militare? Logico. L’ignoranza è sempre stata la prima arma)
Niente di meglio per educare i giovani che trasformare una scuola in un set di 'Call of Duty'. Perché sprecare tempo con la matematica quando puoi imparare a calcolare la traiettoria di un mortaio?
Che problema c’è?
Se i ragazzi non hanno abbastanza violenza a casa, a scuola o su TikTok, almeno ora possono toccare con mano un fucile vero!
Niente più finzioni, solo un buon vecchio addestramento al conflitto.
La chiamano 'competizione sportiva'. Perché no?
Dopo tutto, il football è troppo soft.
Qui si gioca a 'simulazione di omicidio di massa', con tanto di patrocinio istituzionale.
Il prossimo step?
Un McDonald’s in trincea, con happy meal a tema proiettili e bombe di carne. Special guest: quel coglione di Achille Lauro.
Del resto, li riempiamo di videogiochi dove si spara a tutto ciò che si muove, poi ci stupiamo se vivono la realtà come un livello da superare.
E adesso li portiamo a vedere la guerra dal vivo, tipo gita scolastica. 'Bambini, oggi visiteremo il concetto di trauma irreversibile!'
Prima li desensibilizziamo con gli schermi, poi li portiamo in piazza a festeggiare l’esercito come se fosse una squadra di calcio.
La violenza?
Solo un’opzione di carriera. Articolo 11 della Costituzione?
Roba da hippie.
La militarizzazione dell’immaginario adolescenziale non è un incidente, ma una strategia precisa.
Se i giovani interiorizzano la guerra come norma, chi si ribellerà contro un sistema che la guerra la produce davvero?
L’insostenibile banalità del male, resa ancora più leggera dall’assuefazione.
Quando la violenza diventa spettacolo, perde il suo peso tragico.
Diventa un gesto vuoto, replicabile, persino noioso.
Gli adolescenti sono sempre stati terreno di conquista. Prima erano i sermoni patriottici, ora sono i visori notturni e le cerimonie in piazza.
La domanda è: chi sta colonizzando la loro mente? Scusate, domanda retorica.
È agghiacciante un sistema politico che trasforma i ragazzi in figuranti di un incubo che chiamano 'cultura della legalità'.
Vi racconterò una fiaba: c’era un paese che insegnava ai bambini a uccidere. Poi un giorno, i bambini crebbero. Fine.
L’assurdità ha un suo metodo: prima normalizzi l’inimmaginabile, poi lo fai sembrare inevitabile.
Alla fine, persino i fiori appassiscono davanti a un cannone, e nessuno nota la differenza.
Il capitalismo della sorveglianza ha bisogno di cittadini docili o soldati.
Meglio ancora se sono la stessa cosa.
Se riesci a far sì che un adolescente veda la guerra come un gioco, hai vinto. Lui no.
Ecco il trionfo del moderno capitalismo, la realtà non esiste più, è solo un insieme di frame sostituibili.
Oggi spari a uno zombie, domani a un migrante.
Stessa dopamina, stesso disprezzo per la carne vera.
L’educazione dovrebbe liberare, non addestrare.
Ma il potere preferisce sudditi che obbediscono e nemici da odiare.
La scuola come base militare? Logico. L’ignoranza è sempre stata la prima arma.
Se insegni a un ragazzo che la forza è l’unico linguaggio, non stupirti se crescerà convinto che la vulnerabilità sia una colpa.
E allora sì che avremo una società di depressi o esaltati.
Abbiamo smesso di chiederci cosa vogliono davvero i ragazzi.
Non sognano mitragliatrici, sognano di essere visti.
E se l’unico modo per esserlo è indossare un’uniforme, be’, allora il gioco è fatto.
L’adolescenza è il regno della possibilità infinita.
Ma se tutto ciò che gli offriamo è la ripetizione della violenza, allora uccidiamo due volte: il loro presente e il loro futuro.
Non è un caso che i programmi di reclutamento militare nelle scuole aumentino quando i diritti sociali diminuiscono.
Un giovane senza prospettive è terreno fertile per chi gli promette un’identità, un nemico e un fucile.
Ci domandiamo perché i ragazzi trattano la vita come un videogioco.
Ma se è così che gliela vendiamo!
Con livelli da superare, nemici da eliminare, e una classifica finale in cui solo i più spietati vincono.
Una società che addestra i bambini alla guerra è una società che ha già perso. Semplicemente non lo sa ancora.
La cosa più spaventosa?
Che tra vent’anni qualcuno dirà: 'Ma come abbiamo fatto a permetterlo?'.
E la risposta sarà:
'Un passo alla volta, mentre tutti ridevano'.
La paura è il miglior insegnante per chi vuole controllare.
E niente è più spaventoso di un bambino che impara a non temere più la guerra, ma a desiderarla; e quando un ragazzo crederà che l’unico modo per essere forte sia distruggere, noi avremo fallito.
(A. Battantier, Memorie di un bambino, Memorie di un adolescente, Frammenti per l'Apocalisse, Mip Lab, 5/25)
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