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STORIA DI UN FRIGO: COME RIPRESI IN MANO LA MIA VITA

STORIA DI UN FRIGO: COME RIPRESI IN MANO LA MIA VITA. "Era il suono del mio frigo un animale primordiale. Mi faceva compagnia. I gatti non mi bastavano e mi chiedevo come potessero restare indifferenti a quei richiami disperati. Passavo molto tempo ad osservarli. Avevano la ciotola accanto al frigo. Gli passavano accanto, senza scomporsi, senza drizzar le orecchie e lo sguardo. Possibile non balenasse in loro un alcun minimo sentore di qualcosa che a me appariva così chiaro? Un'anima in pena implorava una qualche forma di commiserazione, dentro a quel frigo. La notte mi alzavo, lo andavo a trovare, lo accarezzavo. Chiamai un giorno il tecnico frigorista, che mi disse: <<vedrà, se lo abbassa di gradi, non farà più quel rumore>>. Pagai la consulenza, ma io mai avrei abbassato la temperatura. Al contrario, avrei fatto qualunque cosa per mantenere in vita quell'essere. Iniziai a redigere un protocollo d'intesa, tra me e lui. Un manuale per tradurre quei suoni. Arrivai a distinguere: 'ti voglio bene', 'non posso', 'accarezzami', 'scaldami sono freddo', 'raffreddami sono caldo', 'ancora sveglia?', 'non stancarti mai di me', 'non staccarmi mai la coda dal muro', 'siamo soli e stanchi', 'ce la farai'. Io non so quando iniziò tutto questo. Probabilmente ha origini lontane, negli amori mutilati, persi pezzo a pezzo, giorno dopo giorno. Quando arrivò il mio compleanno era d'agosto. Presi la torta per noi due. Ma ormai l'irreparabile giungeva alle porte della coscienza. Egli iniziò a contorcersi con quelle ultime scosse di tormento estremo, e le lacrime bagnarono il parquet. Si spense la mattina del giorno dopo. Lo abbracciai nell'ultimo saluto, lo svuotai, lo pulii e poi, lo feci avvolgere per bene dal mio falegname. Lo ricoprì di legno radica, sarebbe stata la sua cassa, per sempre accanto a me. Un poco alla volta riposi al suo interno le mie reliquie. Un diario, le fotografie, 5 peluche, 1 anello, una scatola di biscotti Gentilini con dentro un cuore. Fu così che quel frigo divenne la sacra tomba dei miei amori. E, lentamente, mi ripresi la mia vita". (Raccontami l'estate. A. Battantier, S. Nigro, 2016).

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LETTERA ALL'AMICO IMMAGINARIO

LETTERA ALL'AMICO IMMAGINARIO. "Caro amico speciale, è da tanto tempo che ci conosciamo, e anche se ora ho quasi 30 anni, io di te continuo a fidarmi come quando avevo 4 anni. Ricordi? Avevo paura la notte, temevo il mostro Pallone, e allora, per farmi forza t'invocai, e tu arrivasti con la spada del manga mio preferito. I miei erano contenti, finalmente non dovevano più alzarsi di notte, perché tanto c'eri tu. Oddio, a dire la verità, i miei non si scomodavano nemmeno prima, ecco forse perché poi sei arrivato tu. Ti ho chiamato Ted, ma il tuo secondo nome era Guardiano. Poi alle medie diventasti Guardian e Warrior, sai, stavo imparando le lingue. Quello che mi ricordo è che io non volevo proprio che ti scoprissero, e non ne parlavo con nessuno. Sono stato bravo vero? Quando parlavo tra me e me, e mi dicevano: "Con chi parli Alfredo?". Io li fregavo sempre, rispondendo: "Parlo tra me e me", ma mica ti tradivo. Poi per fortuna ho scoperto alle elem

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CHI TROPPO MOLTO NULLA NIENTE. "Che poi è il problema mio. Io voglio tanto troppo e alla fine non ottengo nulla. Forse dovrei accontentarmi, ma non nel senso del rassegnato. Bu, non so. Forse quello che ho mi dovrebbe bastare per darmi la carica per andare avanti senza soffrire per quello che non ho. Insomma me sò incartato. Voglio dire, dovrei usare quello che ho per andare avanti, altrimenti resto sempre a mani vuote, con questo senso di lamentela e di tristezza che mi assale perché non ho le cose, perché non ho raggiunto me stesso. Ma me stesso eccolo, son io, son qua. Ho  problemi con il concetto di fallimento, perché tante volte mi sono trovato ad intraprendere dei percorsi. Per poi finire nei burroni del fancazzismo, nelle selve delle indecisioni perenni. Non mi ero mai chiesto però quanto dipendesse da me, e dalle mie posizioni iniziali, ovvero volere la luna senza neanche essere sceso dal letto. Vuoi qualcosa? Inizia a trovare le ciabatte, inizia a vestirti, in

Mi chiamo Andrea Giovanni Battantier, psicologo in un Consultorio

(Dedicato a mio padre e al papà di Antonio Leotti) Me ne sono andato pensando all'errore di lasciare solo mio padre, Antonio Gennaro Battantier, nato a San Casciano dei Bagni, agricoltore, uomo retto e gran lavoratore. Ho cercato per anni la perfezione, seminando errori, che poi ho coltivato, cucinato e mangiato. Mio padre da me si aspettava ben altri raccolti. Mi chiamo Andrea Giovanni Battantier, psicologo in un Consultorio, e sono ossessionato da mio padre, che un bel giorno lascia tutto in campagna e si mette a cercarmi, finendo barbone. E' stata mia la colpa? Io me ne partii per rinascere uomo. Lui per morire da bambino che non fu. Mio padre che non mi parlava, e mi scriveva belle lettere con la sua penna antica. Io leggevo quei pesanti fogli e sì, mi commuovevo, ma mai una volta poi trovai il coraggio di rispondere. Io parlavo bla bla bla, e lui scriveva ccccccccccc. Io un bel giorno lo trovai sulla panca del mio Consultorio, con la barba e quel suo essere ormai sperso e