Marco Sinimberghi aveva una vita di merda che lo cingeva d'assedio.
Probabilmente una vita mal spesa.
Ma avreste dovuto conoscere il padre.
Il ragazzo era reduce dalla rievocazione della Passione di Cristo a Civita di Bagnoregio, la famosa cittadella che muore.
Per comprendere l'importanza dell'evento, basti pensare erano giunte 1450 candidature per un solo posto di posto di Cristo.
Del resto si trattava di una rievocazione assai realistica, con scene di violenza cruda, a tratti gratuita.
Come se la folla di quei turisti pellegrini accorsi, già due o tre giorni prima, provasse un malcelato sadico piacere nel donare frustate al Messia, metafora triste del quotidiano trattamento riservato dai cristiani all'illuso redentore.
Quell’anno venne scelto proprio Marco Sininberghi, spinto a partecipare dalla comunità per il recupero tossicodipendenti.
Pensate che Marco, in comitiva con gli altri della comunità, era giunto stremato da Monaco, attraverso la francigena.
Il povero Cristo, dopo i convenevoli di Don Poldo e gli applausi di una folla istericamente festosa, ricevette ben presto i primi schiaffi e poi vergate di olivo sulla pelle madida di sudore, sempre più mischiato al sangue.
Marco venne issato a forza sulla croce, posta su di una roccia tufacea inquietantemente sgretolata.
Sputi, risa sguaiate e sassate, anche dai più piccini.
Poi il silenzio, allorquando finalmente si diradò nella notte quell'assurda e becera folla alla ricerca di vino e salsicciotti offerti dalla proloco.
Fu all'alba che si sfiorò la tragedia.
Cedette infatti la fragile roccia e, con essa, precipitò nell'orrido la croce e il Cristo tutto.
Trovarono il povero Marco a valle, maciullato e parzialmente mangiucchiato da volpi e cinghiali. Ma vivo.
Una Passione mancata per un soffio, saltando direttamente alla Resurrezione.
Le autorità misero il blocco alla zona tutta. E la rievocazione interrotta.
Interrotta fu anche la riabilitazione tossicologica di Marco il quale, passò quasi 2 anni in ospedale.
Tornato a casa, riprese a farsi di tutto.
Marco aveva una vita di merda che lo cingeva d'assedio.
Probabilmente una vita mal spesa. Ma avreste dovuto conoscere il padre.
Decise pertanto di replicare la Passione. Ma questa volta autarchicamente a modo suo.
Dal terrazzo il ragazzo capì che il volo sarebbe stato interessante.
Senza rincorsa, ma con mirabile salto, ei si trovò nel vuoto più profondo, un vuoto circondato da palazzi.
Eppure, la pienezza l'avrebbe incontrata qualche decina di metri più in basso, a contatto con il duro asfalto pisciato dai cani e dalle combustioni dei tubi di scappamento.
Su e giù. Su e giù.
Se ne accorse la vecchia insonne del secondo piano del dirimpettaio B22.
Lei, alle cinque spaccate della mattina se ne stava -come al solito- accoffolata alla finestra con uno yogurt alla banana, ed il caffè riscaldato del giorno prima.
Quando uno dice su e giù, si pensa a qualche metafora sempliciotta, tipo il tran tran della vita moderna o gli stati dell’umore, o altre cazzate varie. Qui, in questo speciale contesto di storia, guidata da inequivocabile realismo magico, su e giù significa per davvero che la vecchia vide un uomo scendere in picchiata come un falco pellegrino, poi risalire come un razzo nel cielo, poi falco, poi razzo poi falco.
Ora, il fatto è che il ragazzo si era legato una corda elastica alla caviglia.
D’altra parte, quando uno si è allenato per anni al bungee jumping, che fa non lo mette in pratica pure in fase di estremo saluto al mondo?
Com’è, come non è, il tapino volava, volava.
La vecchia rapita lo guardava, estasiata.
Su e giù, si scorticava il giovane nel mentre ai cornicioni, ai davanzali, al muro tutto.
Ad un certo punto si trovò appeso come un pollo, a testa sotto, sanguinolento, mezzo fracassato, ma ancora una volta vivo, in prossimità del piano terra.
Poteva annusare, addirittura, il piscio dei cani attorno alle aiuole limitrofe.
La vecchia posò il cucchiaino sul davanzale, sporgendosi per meglio godere dell’incontro con il Divino, poiché ella, non conoscendo affatto il bungee jumping, preferì credere al ritorno in pompa magna dell’arcangelo Gabriele.
Arcangelo o non arcangelo, l’elastico, affranto dal troppo lavoro dei ponti abruzzesi, cedette, e cadde quello sfrontato ragazzo che, sfidando la sorte, ebbe in cambio la fortuna di finire il viaggio sul tetto di un furgone Iveco Daily.
Stordito, ma in respiro vero, prese a camminare strascicandosi fino al portone di casa. Citofonò.
Rispose il padre furibondo, convinto che fosse tornato da qualche sua solita scorribanda tossica con gli amici.
Mesto il ragazzo se ne entrò, con il padre ad indicarlo saccente con la mano, esclamando:
"Vergogna, guarda come ti sei ridotto a furia di drogarti!! Mi fai solo che schifo...e nessuna compassione!!!".
La vecchia raccontò codesta mirabolante annunciazione per i restanti suoi tre anni di vita.
La raccontò a Don Poldo, alle figlie, a qualche sparuta amica superstite compagna di burraco.
Solo il nipote le prestava l’ascolto minimo necessario, impegnato tuttavia a stabilire sempre nuovi record alla Wii.
Di questa storia posso dirvi che, il proprietario dell’Iveco Daily sta ancora incazzato come una biscia per il tetto sfragnato.
Poiché, all’iniziale incredulità circa l’accaduto, subentrò, nel tempo, la rabbia con l’assicurazione che non volle mai pagare i danni.
(A. Battantier, Memorie di una dipendenza, 2016, GESÙ, GEGIÙ, GEPIÙ, CUCÙ, LA PASSIONE DI CRISTO).
Questo racconto è nato lavorando con un ragazzo meraviglioso. Insieme abbiamo elaborato dei vissuti della sua tossicodipendenza. Tornava a casa praticamente in quelle condizioni. Lui stesso, parlando di istinti suicidali, ha adottato la metafora del bungee jumping, per tentare di esprimere il suo SU e GIÙ. Un po' alla volta è tornato SU, senza più il GIÙ.