Alle volte si scelgono parole luccicanti, per proteggere qualcosa di prezioso. Ma sai, il tradimento, a guardarlo da qui non è tanto cosa per essere veri. E se lo dice quel plagiatore di Umberto Galimberti! "Tradire per essere veri". Come suona bene, come suona profondo. Solo che tradire non è un esercizio di filosofia; è un momento da due soldi in una stanza a luci basse o in un baretto con due spritz, un attimo di carne e di vigliaccheria. E se lo vogliamo giustificare, lo facciamo sempre con un mucchio di parole ben levigate. Ma alla fine, quello che chiami tradimento non è una nobile ricerca di sé: è una scusa, un biglietto di sola andata per la stazione “non è colpa mia...è stata tua la colpa e allora adesso che vuoi?”. E questo elogio del tradimento come atto di emancipazione, come via verso l’individualità, mi fa venir da ridere. Perché non è solo la libertà di andarsene che conta, ma il peso di chi resta. Ci scambiamo fedeltà e amore come monete, pensando che l’a
Con la religione puoi giustificare l’ingiustificabile. Il “problema del male” è un nodo gordiano che nessuno teologo o credente si sogna di tagliare. La ragione è semplice: il nodo è il loro giocattolo preferito. Non possono abbandonarlo, perché senza quel nodo—senza la scusa del mistero—l’intero costrutto teologico si scioglierebbe come neve al sole. Epicuro, o chi per lui, ci ha lasciato un paradosso che brilla per semplicità: Dio vuole evitare il male, ma non può? Non è onnipotente. Può, ma non vuole? Non è buono. Può e vuole, ma il male esiste? Allora non esiste lui. Elementare, no? Eppure, il fedele medio reagisce a questo ragionamento come farebbe un avvocato difensore che scopre che il suo cliente ha lasciato le impronte digitali sulla scena del crimine: negare, confondere, e, se tutto fallisce, gridare al "mistero". IL DIO DELLE PROVE INUTILI Una delle difese preferite è la favola del libero arbitrio. Dio, bontà sua, ci avrebbe donato questa meravigliosa libertà