Passa ai contenuti principali

Post

L'AVARIZIA EMOTIVA (Il trattenere è un tentativo disperato di immobilizzare il tempo)

"Sparirà con me ciò che trattengo, ma ciò che dono resterà nelle mani di tutti" (Rabindranath Tagore) Ieri, nel gruppo di lettura della libreria romana "Passaparola" abbiamo affrontato Giorgio Scerbanenco, il quale ha esplorato il tema dell'avarizia nella sua raccolta di racconti intitolata "I sette peccati e le sette virtù capitali", pubblicata postuma nel 1974. Il tema dell'avarizia è stato affrontato qualche mese (11/24) fa nei laboratori Mip Lab.  Eccole lì, quelle anime miserabili. Mia nonna diceva: "Avare come un becchino che ti chiede il doppio per una cassa vuota".  Stanno sedute sui loro mucchi di cose, stringendo forte i pugni, come se potessero portarli con sé nella tomba.  Sparirà con loro ciò che trattengono, ogni singolo centesimo.  Ma cosa lasciano? È l’incubo dell’accumulo, non si tratta solo di soldi.  È un'avarizia emotiva, uno stitico trattenersi, un rifiuto a condividere il proprio dolore, il proprio amore, giusto ...
Post recenti

LA PERDITA: QUEL CHE RESTA

L'attesa dell'alba, un uccello che non smette di cantare. Ora silenzio, il vento sfiora le persiane, mille schegge io raccolgo, reliquie di un dio caduto, il tuo viso sul vetro del mattino, ma non riconosco il riflesso. L’onda si frange sulla riva, il mare rimane.   Quel che resta finisce in cielo, sai? Si scuce, l'anima si svuota. Ti rincorre la perdita e la morte è un buio che illumina, ti osserva senza volto dai bordi della stanza, e intanto restano i ricordi. Quel che resta è un peso, il dolore vero è un segreto, restano gli sguardi, i silenzi, le mani che hai stretto e quelle volte stupide che hai lasciato andare, quel bagno non fatto al mare. Ho ritrovato un foglio bianco strappato a metà. Quel che resta è un margine, una parola, un’ombra. Il dolore è il maestro che non vorresti mai aver scelto, alla lavagna c'era scritto "la fine è solo un’idea.", e se non c’è ciclo e non c’è inizio, non c’è fine. C’è solo l’attimo in cui respiri, in cui vivi, e lasci c...

BIBITE, FRATRES

frati brindano sotto lo sguardo malizioso di piccoli diavoli, umorismo medievale e saggezza esistenziale. “Bibite, fratres, bibite, ne diabolus otiosos inveniat” l’ozio terreno fertile per il diavolo.  La cultura dell’epoca riconosceva il valore del vivere il presente, ma con il paradosso che l’eccesso, pur divertente, rischia di essere autodistruttivo. La vita è questa dannata corsa contro il niente.  Non fatevi fregare da chi vi vuole disciplinati: brindate e lasciate il diavolo a mangiarsi il fegato. E non è solo il bicchiere (che anzi, a dirla tutta, farebbe male).  È il riso che ci salva.  È il condividere una tavola e un momento.  C’è un’ombra, un mostro sempre dietro l’angolo, pronto a divorarti.  Ma se ridi, se vivi nel momento, quel mostro perde potere.  Il diavolo non sopporta chi si nutre della luce del presente, della semplicità del vino e delle risate. La risata è leggera come l’aria, ma ha un peso filosofico enorme.  È un atto di res...

BULLISMO: BULLI, FAMIGLIE, SOCIETÀ

La mia scuola è una gabbia, non quelle metafore tipo sbarre invisibili ma proprio una gabbia vera, fatta di muri di cemento scrostato e porte che sbattono forte come per ricordarti che sei dentro, che non puoi scappare. Qui dentro, i bulli sono i padroni. Li riconosci subito: sono quelli con le risate che ti perforano il cervello, quelli con la camminata larga padroni del mondo, tutto qui è solo per loro. Ma se credete che il problema siano solo loro, vi sbagliate di grosso. Mi avevano spinto contro l’armadietto. Uno aveva preso il quaderno di matematica e ci aveva sputato sopra. Gli altri ridevano, ovviamente, vigliacchi di merda. Io li guardavo, senza fiatare, con quella rabbia che ti brucia dentro e che non sai dove mettere. Perché gridare non serve, combattere non serve. Se reagisci, peggiora. Sempre. Ma non è stato quel momento a farmi esplodere. No, è stato quello che è successo dopo. La scena di sempre: la prof di scienze che entra e vede il disastro. Il mio quaderno per terra,...

PLUTARCO: A PROPOSITO DI MANGIAR CARNE

Plutarco non scrive di cibo, ma di fantasmi, di ombre che si annidano nei nostri gesti quotidiani, nei coltelli che sminuzzano e nei fuochi che arrostiscono.  La carne è una presenza che parla di sangue versato e occhi spenti, e l'orrore non è solo nelle viscere squarciate ma nella normalità con cui accettiamo quel massacro.  Vedo in Plutarco il riflesso di una tragedia universale: l’uomo che si erge a giudice e carnefice, incapace di guardare negli occhi il proprio prigioniero.  L’empatia, quella parola così abusata, si spezza di fronte al tavolo imbandito, dove ogni animale, essere vivente senziente con un cuore che batte, è ridotto a cosa.  Plutarco ci sfida a chiedere: Perché?  Non un perché scientifico, non una giustificazione evolutiva, ma un perché etico, profondamente umano.  Se puoi vivere senza uccidere, perché non lo fai?  È una domanda che io spesso lancio come un sasso nello stagno della nostra coscienza. Plutarco non indulge in illusioni....

IL PASSERO SOLITARIO(GLI INTROVERSI SOCIEVOLI)

Sono un passero solitario. Non che lo faccia per vanto ma oggi, guardando quei fili ho capito qualcosa.  Una rivelazione, diciamo. Quei fili tesi tra i pali, sempre gremiti, pieni fino a scoppiare di chiacchiere e frastuono. Tutti a cinguettare, tutti a cianciare. Non vi sembra un po’ troppo? A me sì. Così stamattina, mentre tutti si sistemavano uno accanto all’altro, becco contro coda, ala contro ala, a lamentarsi del vento, della pioggia o della vita in generale, ho allargato le ali e me ne sono volato giù, su di un filo in basso.  Bello vuoto, perfetto per me. Ahhh, che pace. Il vento che soffia leggero, il mondo che tace. Un momento tutto mio. La verità è che non mi dispiace essere da solo. Mi dicono che sono un po’ strano, un po’ troppo silente sociopatico. E va bene, lo accetto. Ma sapete cosa? La solitudine ha un sapore che gli altri non conoscono. Ha il gusto del silenzio, di uno spazio tutto tuo dove puoi ascoltare te stesso.  Non il chiasso di cento becchi, ma i...

IL SORRISO DI TUA MADRE

La foglia cade lieve senza chiedere perché.   Nel silenzio del presente tutto si compie:   il sorriso di tua madre,   il respiro che sfiora la sera,  un passo sulla terra umida.   Non c’è sforzo nel vivere, solo il vedere limpido.   Amare è essere, non temere il vuoto tra un pensiero e l’altro.   Prova ancora, sì,   ma senza cercare;   l’amore è il cielo che si riflette nella piccola pozza del tuo cammino.   (A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, 2002) #memoriediunamore  #MIPLab