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IL TRADIMENTO (spiegato a Umberto Galimberti)

Alle volte si scelgono parole luccicanti, per proteggere qualcosa di prezioso. Ma sai, il tradimento, a guardarlo da qui non è tanto cosa per essere veri. E se lo dice quel plagiatore di Umberto Galimberti! "Tradire per essere veri". Come suona bene, come suona profondo. Solo che tradire non è un esercizio di filosofia; è un momento da due soldi in una stanza a luci basse o in un baretto con due spritz, un attimo di carne e di vigliaccheria.  E se lo vogliamo giustificare, lo facciamo sempre con un mucchio di parole ben levigate. Ma alla fine, quello che chiami tradimento non è una nobile ricerca di sé: è una scusa, un biglietto di sola andata per la stazione “non è colpa mia...è stata tua la colpa e allora adesso che vuoi?”.   E questo elogio del tradimento come atto di emancipazione, come via verso l’individualità, mi fa venir da ridere.  Perché non è solo la libertà di andarsene che conta, ma il peso di chi resta.  Ci scambiamo fedeltà e amore come monete, pensando che l’a
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DIO? UNA PRESA PER L'EPICURO

Con la religione puoi giustificare l’ingiustificabile. Il “problema del male” è un nodo gordiano che nessuno teologo o credente si sogna di tagliare. La ragione è semplice: il nodo è il loro giocattolo preferito. Non possono abbandonarlo, perché senza quel nodo—senza la scusa del mistero—l’intero costrutto teologico si scioglierebbe come neve al sole. Epicuro, o chi per lui, ci ha lasciato un paradosso che brilla per semplicità: Dio vuole evitare il male, ma non può? Non è onnipotente. Può, ma non vuole? Non è buono. Può e vuole, ma il male esiste? Allora non esiste lui. Elementare, no? Eppure, il fedele medio reagisce a questo ragionamento come farebbe un avvocato difensore che scopre che il suo cliente ha lasciato le impronte digitali sulla scena del crimine: negare, confondere, e, se tutto fallisce, gridare al "mistero". IL DIO DELLE PROVE INUTILI  Una delle difese preferite è la favola del libero arbitrio. Dio, bontà sua, ci avrebbe donato questa meravigliosa libertà

SOSPESI

"La vita è breve. Perdona in fretta. Bacia lentamente" (Robert Doisneau) L'amore come atto di equilibrio, una sfida contro il vuoto e il tempo. L’amore è costruire insieme un ponte che non si regge mai del tutto. Ogni passo è un rischio, ogni passo un atto di fiducia.  Eccoli, sospesi tra il prima e il dopo, con lo sguardo rivolto in direzioni opposte.  Sono distanti e, nello stesso tempo, legati dalla stessa struttura.  Amare è continuare a camminare anche quando l’altro sembra scegliere un’altra strada. L'amore è un cantiere, dove ogni passo ti ricorda quanto puoi cadere.  Ti incazzi, guardi quella struttura e pensi: 'È fragile come noi.'  Ma è proprio lì che sta il miracolo. Non nel costruire una cosa perfetta, ma nel restare in piedi, nonostante il vento, nonostante il vuoto.  E se ogni tanto devi saltare, lo fai. O non lo fai. Ma intanto il tempo non si ferma, per nessuno.  E quando uno cade? Quando l’abbandono diventa reale?  È qui che l’amore si scontra

IL LUPO CHE CERCAVA L'AMORE

C’era una volta un lupo che vagava nel bosco in cerca di qualcosa che neanche lui sapeva di preciso.  Gli mancava un calore dentro al petto, un sorriso che gli facesse brillare gli occhi. Cercava l’amore. Il Lupo non era come gli altri animali immaginavano. Non era feroce né crudele.  Era solo e dolce, ma anche timido, così tanto che gli costava fatica avvicinarsi a qualcuno.  Ogni volta che provava a fare amicizia, gli animali scappavano via. Si erano tutti abituati a pensare al Lupo come una minaccia, un’ombra scura che li spaventava.  E così, un po’ alla volta, il Lupo aveva cominciato a sentirsi diverso, storto, e la sua solitudine si era fatta sempre più pesante. Una notte, stanco e sconsolato, il Lupo alzò il muso al cielo e ululò alla luna. Auuuuuuuuvvvv!!! La luna, bianca e lontana, sembrava ascoltarlo. Il Lupo pensò che forse lei, lassù, poteva comprendere la sua tristezza.  La luna lo guardava ogni notte, e lui le raccontava i suoi segreti più profondi. Si fidava di lei. “Per

IL RIFUGIO (Una storia da barboni)

La sera lo aveva colto di sorpresa questa volta. Scivolava sotto pelle il freddo, non si levava dalle ossa, un’infiltrazione maligna.  Addosso aveva un misto di fango, acqua e gelo, gli idranti della polizia avevano fatto il loro dovere per scacciare i barboni dalle stazioni, e i suoi pochi strati di vestiti sembravano umido straccio incollato alla carne. Attorno a lui, il buio della città non faceva che amplificare ogni piccola luce lontana, come se volesse torturarlo con miraggi di calore. Le persone passavano, ombre svelte, schive, ridotte a piedi e cappotti senza volti. Nessuno si voltava. Tutti affrettavano il passo, incuranti di quella figura accasciata e tremante sotto un lampione. Dicevamo, la stazione. Il suo solito ricovero di cartone (ma almeno al chiuso) era stato distrutto. Avevano tirato fuori gli idranti, l’acqua gelata schizzava sotto la spinta del getto, creando rivoli di arterie ghiacciate.  Avevano costretto i senzatetto a sparpagliarsi, spazzandoli via come foglie d

ACCENDE UN CERO A PADRE PIO E LE VA A FUOCO LA CASA

"Ma io l'avevo spento!" ha dichiarato con fermezza la signora, scossa e incredula.  Dopo aver "spento" il cero, era uscita in tutta serenità per recarsi alla consueta messa vespertina.  Eppure, a quanto pare, il cero deve aver deciso di riaccendersi da solo. Sarà stato un effetto collaterale della sua inestinguibile fede. Allertati dal fumo e dalle fiamme, i vicini hanno chiamato i soccorsi, ma ormai era troppo tardi: l’incendio aveva divorato l'intera abitazione.  Un disastro, direte. Eppure, in mezzo alla cenere, il miracolo: la statuina di plastica di Padre Pio è rimasta perfettamente intatta.  Segno, forse, che l’intercessione di Padre Pio funziona, ma per le cose davvero importanti. Che culo! (A. Battantier, Italien Néandertalien, Memorie di una croce, 2024) #italienneandertalien  #memoriediunacroce 

RITORNO A NAPOLI (Un sogno scomodo)

Seduta nel vagone scompartimento, Claudia guarda fuori dal finestrino il paesaggio che scivola via nella nebbia ovattata.  C’è qualcosa di lugubre e attraente, come un’ombra sfuggente che passa sulla linea degli alberi e si infila nelle pieghe dei suoi pensieri.  Ha comprato il biglietto quasi senza pensarci, all’ultimo momento, quando quel richiamo vischioso l’ha convinta a rientrare: "Che fai non vieni per festeggiare?" le ha ripetuto per settimana la madre al telefono. Non sa dire cosa sia esattamente: una voce, un’ombra, la mano morbida e sottile della madre che accarezza la guancia, o forse solo la sensazione impalpabile che, senza di lei, qualcosa si sgretolerà definitivamente.  Ma, mentre il treno si avvicina sempre di più a Napoli, sente quel misto di attrazione e repulsione che le stringe lo stomaco. Napoli. Casa. La città che è stata madre e matrigna, che le ha insegnato la bellezza e la violenza, che l’ha spinta via e poi richiamata, come se fosse tutto un gioco di