Passa ai contenuti principali

LA CURA (e il mistero della fede nell’amore)

La considero una delle più belle canzoni d'amore. Battiato e Sgalambro trasformano l’amore in un atto di manutenzione straordinaria. “La cura”. Non “la passione”, non “il destino”, non “l’incanto”. La cura. Come si cura una pianta rara, un affresco che sta cedendo, una legge fisica delicatissima. 

“Ti proteggerò dalle tentazioni che ti troveranno sulla tua via”. 

Ma non dice “ti chiuderò in una stanza”. 

Dice: ti darò gli occhi per vedere il ghiaccio, ti darò la misura per non farti bruciare. È un amore che non imprigiona, ma attrezza. 

Un amore che somiglia più a un kit di sopravvivenza per l’anima che a un bacio.

“La cura" è pezzo che mi ha fatto sentire amato e protetto e mi ricorda di amare e proteggere. 

L’amore, quello stratosferico, non è quello che ti dice “cambia, diventa come voglio io”. È quello che, standoti vicino, ti fa sentire che esisti già, nei tuoi difetti e nelle tue storture. 

Che la tua vita, anche se ti sembra andata tutta al contrario di quelle parole, ha una sua geometria segreta. 

E forse, l’essere andato al contrario è proprio la strada per arrivare a capirle, quelle parole. 

A remare contro la corrente si sviluppano muscoli che non sapevi di avere.

Io ci penso spesso a questa dimensione altra. All’infinito determinato nei limiti di un corpo. 

Siamo fatti così: un po’ di polvere di stelle, la pancia incipiente e un sacco di mal di schiena. Un animo che sogna di volare e la caviglia che si gonfia se sta troppo in piedi (ma poi ti spalmo l’hirudoid, promesso!)

L’amore di cui parla Battiato non nega il corpo, lo onora. 

“Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore”. 

Li nomina, i dolori. Non fa finta che non ci siano. Li prende in carico, come si fa con un dato di fatto. 

È un amore con le maniche rimboccate, che non ha paura del fango dell’anima, degli sbalzi d’umore che sono come maree interiori.

Possiamo solo immergerci, e non a tutti è dato. Forse perché per immergersi bisogna prima smettere di nuotare disperatamente.

Bisogna fermarsi, e lasciare che l’acqua ti sostenga. L’amore come abbandono attivo al mistero della fede. 

Come il dire: “Va bene, non capisco tutto di te, non capisco tutto di me, ma mi fido. E starò qui a vigilare sui confini della tua luce”. È un lavoro da giardiniere del mistero.

Come sarebbe bello capire tutto ciò. Impossibile. L’amore forse è proprio quella cosa che si capisce solo non capendola del tutto. 

È come il mare: puoi sapere tutto sulle correnti, sulla salinità, ma quando ci sei dentro, quello che conta è solo il respiro, il galleggiare, il fatto che l’acqua ti tiene.

“La cura” non è la spiegazione dell’amore, ma la sua prescrizione. Una serie di gesti, di intenzioni, di promesse operative. 

“Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza”. 

In un mondo che urla, che vuole tutto e subito, l’amore più grande è portare silenzio. Uno spazio vuoto perché l’altro ci risuoni dentro. E pazienza. Che è la forma più pratica della fede nell’altro.

Chiudendo gli occhi, ci si può sforzare. Capire e diventare di più. O forse non si tratta di capire. Si tratta di essere. Di essere, per qualcuno, quella presenza che fa da “cuscinetto” al mondo. Quella che trasforma i rumori in musica, le paure in viaggio, i limiti in confini da custodire.

Diventare di più, non da soli, ma perché qualcuno ci ha guardati con quegli occhi lì. Con gli occhi di chi vede l’infinito che c’è stipato nelle nostre ossucce fragili. 

E si prende la briga, la cura, di ricordarcelo. Sempre.

È un lavoro umile e immenso. Come tenere accesa la nostra candela in una notte di vento. 
Ci si brucia un po’ le dita, ma la fiamma non va mai spenta. Ne vale la pena.

(A. Battantier, Memorie di un amore, Memorie di una canzone, Mip Lab, Pa & Pe, 12/25. Estratto dal laboratorio di psicologia delle coppie di fine anno, Mip Lab Roma e Mip Lab Moncalieri-Torino)

#MIPLab
#memoriediunamore
#memoriediunacanzone  

Post popolari in questo blog

IL SIGNIFICATO

"Tu decidi qual è il significato della tua vita. La gente parla del significato della vita, ma ci sono tanti significati di vite diverse e tu devi decidere quale vuoi che sia il tuo". (J. Campbell)

CHI TROPPO MOLTO NULLA NIENTE

CHI TROPPO MOLTO NULLA NIENTE. "Che poi è il problema mio. Io voglio tanto troppo e alla fine non ottengo nulla. Forse dovrei accontentarmi, ma non nel senso del rassegnato. Bu, non so. Forse quello che ho mi dovrebbe bastare per darmi la carica per andare avanti senza soffrire per quello che non ho. Insomma me sò incartato. Voglio dire, dovrei usare quello che ho per andare avanti, altrimenti resto sempre a mani vuote, con questo senso di lamentela e di tristezza che mi assale perché non ho le cose, perché non ho raggiunto me stesso. Ma me stesso eccolo, son io, son qua. Ho  problemi con il concetto di fallimento, perché tante volte mi sono trovato ad intraprendere dei percorsi. Per poi finire nei burroni del fancazzismo, nelle selve delle indecisioni perenni. Non mi ero mai chiesto però quanto dipendesse da me, e dalle mie posizioni iniziali, ovvero volere la luna senza neanche essere sceso dal letto. Vuoi qualcosa? Inizia a trovare le ciabatte, inizia a vestirti, in...

SPESSO IL PUNTO DEBOLE DI UNA PERSONA È SEMPLICEMENTE UN'ALTRA PERSONA

"Ci piaccia o non ci piaccia, l'Altro ha un altro Altro. Talvolta giungiamo a vederlo, ma ci vogliamo illudere che sia sempre lo stesso.  E invece è l'Altro dello Stesso.  Ma lo Stesso non è più lo stesso.  È anche qualcos'altro: l'Altro.  Questo vale anche per noi, ci piaccia o non ci piaccia". (M. Thompson Nati, Paradoxes of ego,1995) "Tu hai ciò che sei.  L'essere si può modificare.  Non farti portare dai tuoi sogni.  Conduci i tuoi sogni alla realtà del tuo essere" (Lao Bu Shem)

Mi chiamo Andrea Giovanni Battantier, psicologo in un Consultorio

(Dedicato a mio padre e al papà di Antonio Leotti) Me ne sono andato pensando all'errore di lasciare solo mio padre, Antonio Gennaro Battantier, nato a San Casciano dei Bagni, agricoltore, uomo retto e gran lavoratore. Ho cercato per anni la perfezione, seminando errori, che poi ho coltivato, cucinato e mangiato. Mio padre da me si aspettava ben altri raccolti. Mi chiamo Andrea Giovanni Battantier, psicologo in un Consultorio, e sono ossessionato da mio padre, che un bel giorno lascia tutto in campagna e si mette a cercarmi, finendo barbone. E' stata mia la colpa? Io me ne partii per rinascere uomo. Lui per morire da bambino che non fu. Mio padre che non mi parlava, e mi scriveva belle lettere con la sua penna antica. Io leggevo quei pesanti fogli e sì, mi commuovevo, ma mai una volta poi trovai il coraggio di rispondere. Io parlavo bla bla bla, e lui scriveva ccccccccccc. Io un bel giorno lo trovai sulla panca del mio Consultorio, con la barba e quel suo essere ormai sperso e ...