Sono passati 20 anni dalla morte di un figlio. Mi sembra un’enormità soltanto dirlo.
Anche se mi ero preparata anticipatamente a quel dolore, giorno dopo giorno, dalla diagnosi tremenda quasi senza appello, quel dolore mi ha devastata per molto tempo.
Ogni giorno da dicembre ‘99 al 29 ottobre 2001, avevo coltivato la speranza ma non l’illusione e il dolore era già stato una quotidiana costante.
Avevo camminato, mangiato, riso, giocato, alternato i ricoveri ad una ostinata serenità famigliare, cercato di sostenere le figlie, i nonni, gli amici come se facendomi roccia potessi vincere il mostro.
Guardavo il mio bambino bellissimo anche pelato o gonfio o smagrito, le sue sorelle sofferenti ognuna a modo suo e mi dicevo che non potevo arrendermi.
Ma dentro di me un tarlo di lucida consapevolezza mi scavava gallerie di dolore.
Poi arriva la morte, ma ancora prima la drammaticità della fine, della terminalità.
Quella sofferenza di madre che aspetta la morte di un figlio, che guarda il suo bambino bellissimo e sa che lo perderà; che osserva con tenerezza le tre figlie che soffriranno uno strazio che le segnerà per sempre; e continua a mangiare, camminare, giocare, controllare i compiti, fare lavatrici; vivere insomma, è difficile da esprimere.
Ora che sono passati vent’anni, di cui ogni giorno vissuto con te, Nicolò, ma anche senza di te, io sento l’enormità di quanto abbiamo vissuto.
Di come ognuno di noi porti il marchio doloroso della sofferenza e della morte impresso in ogni singola cellula.
Di come ognuno di noi abbia fatto tesoro del tempo breve passato con te vivo e sia cresciuto nel tuo ricordo e nella tua presenza.
La tenerezza, l’amore e la malinconia che provo pensandoti o quando il tuo sorriso mi coglie di sorpresa da una fotografia hanno preso il posto delle fitte di dolore pungente dei primi anni.
Le cicatrici del corpo, delle somatizzazioni, delle malattie autoimmuni che hanno segnato l’elaborazione del lutto, testimoniano la difficoltà e la durezza del percorso.
Ognuno di noi è sopravvissuto seppure segnato indelebilmente.
Sembra retorica ma sento di non averti mai veramente perso e di essere cresciuta nella sofferenza, comprendendo aspetti di me e del mondo che mi circonda.
Dover cercare il significato profondo della relazione con te e dell’amore, per superare il dolore dell’assenza fisica, mi ha trasformato in una persona più consapevole e umana.
Comprendere l’impermanenza, la finitudine e la transitorietà (compresa quella del dolore) mi ha insegnato ad essere più elastica e flessibile, meno ancorata graniticamente a idee e situazioni fisse e ad essere più serena nell’affrontare l’inevitabile continuo cambiamento.
Ad essere più coraggiosa, più aperta al mondo e a non aver paura delle emozioni.
Ho imparato a lasciar andare e a non rimanere aggrappata alle mie convinzioni, all’immagine che ho di me, degli altri e del mondo.
Ho accettato di cambiare idea e che tutto è trasformabile e questo mi ha dato un grande senso di serenità.
L’amore insegna, l’amore trasforma tutto.
E tu sei amore Nicolò.