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LA MIA CASA (E FAMIGLIA) AI TEMPI DEL VIRUS

LA MIA CASA (E FAMIGLIA) AI TEMPI DEL CORONAVIRUS. “Siamo in isolamento, ma so che anche voi non state tanto bene e forse capirete quanto sto per dirvi.
Qui in famiglia è un bollettino di ansia a tutto spiano, dipendenze e depressione. Sto cercando di combattere l'ansietta che mi si ripresenta puntuale all’alba, per lasciarmi di notte, diciamo...2 orette prima dell’alba del giorno dopo. E così via. Tre giorni fa sono scappato di casa, volevo andare in centro a vedere gente o almeno una rovina antica. Mio padre mi ha fermato con la macchina e mi ha riportato a casa.
Nonna invece ha scelto di buttarsi sul cibo, insieme a mia madre naturalmente, che in queste imprese è molto solidale e non lascia mai nessuno solo. Sì, è vero, hanno sempre mangiato, ma questa volta non si regolano. Minimizzano, dicono che spiluzzicano qualcosina  ma, ve lo giuro, si sfondano senza pietà: la mattina, a pranzo, il pomeriggio, la sera. E quando la notte vado in bagno a far pipì, sento rumori come di ippopotami fuor di palude: son sempre loro a scrofanarsi schifezze in cucina, guardando dalla finestra i vicini, anch'essi intenti a mangiare di nascosto, come ladri. E fanno ridere perché si guardano dalle tende come cavernicoli disperati alla ricerca dell'ultimo supplì congelato. Quando vedo mamma e nonna aggirarsi 
lentamente ruminanti per la casa 
mi chiedo se siano uscite fuori da un documentario del National Geographic. 
Io, invece, me ne vado sul terrazzo condominiale. Ho contato bene, sono circa 20 metri, faccio avanti-indietro avanti-indietro avanti-indietro, fanno 6 km al giorno. Almeno torno giù stanco. Mio fratello, prima di scoprire la terrazza condominiale, correva per le scale: sei piani su, sei piani giù. Poi l’altro giorno un vicino (stronzo) gli ha detto: “Guarda che così ti prendi il virus... si annidano anche sulle scale, stanno attaccati ai corrimani e ai muri e quando passi ti saltano addosso”. Capirai, Leo che è ipocondriaco, si è messo paura e ora sta buono buono con me sul terrazzo. Qui abbiamo anche provato a giocare a quel gioco da spiaggia tipo tennis, come si chiama, Volàno ecco. Epperò abbiamo già perso 7 pallette con le piume. Siamo andati subito giù a cercarle e abbiamo litigato con il solito vicino che ci ha detto che per uscire ci voleva l’autocertificazione, ma noi siamo usciti con il cane: tiè. Comunque aò, abbiamo cercato sui marciapiedi, in strada, sotto le macchine parcheggiate, ma delle palline nessuna traccia. Roma resta un mistero: è vuota e deserta eppure, c’è sempre qualcuno che si frega le palline di vòlano.
Mio padre invece si è chiuso in una strana solitudine. Dice che sta riflettendo, ha ripreso anche in mano un libro di filosofia dei tempi del liceo. Ma a me sembra solo un mezzo depresso scocciato. Se ne sta in pigiama e non vuole essere disturbato per nessun motivo. Cerco di farlo reagire ma lui ha detto: “E che  devo fare, venire su con voi a giocare a vòlano?”. Ragazzi, ora vi dico una cosa, a costo di sembrarvi paranoico: secondo me è mio padre che si frega le palline. Comunque, insomma, papà reagisci, sei tu che dovresti darci la carica, e invece sei proprio un mortaccino!!!
Tuttavia, non so se è peggio lui o mia sorella di 14 anni. Sta sempre sui social, dalla mattina alla sera. Apparentemente potreste dire che non è sola, ma giudicate voi: passa tutto il giorno a chattare, a fare video idioti e a ridere con le amiche. Epperò, boh, poi la sento chiusa in bagno che piange. Io la vorrei aiutare però lei dice sempre che va tutto bene, va tutto bene, va tutto bene. E, fidatevi, quando uno dice che va tutto bene per 10 volte al giorno con gli occhi fissi e spenti, non va bene neanche un po’.
Il fatto è che in questi anni ci siamo troppo abituati ad amicizie virtuali e quindi, adesso, anche se sembra strano, ci sentiamo ancora più soli. Credetemi, il virtuale te lo sbatti in faccia nei momenti di crisi. È che sarebbe molto meglio un contatto fisico che fa veramente la differenza. Io per esempio, mi ricordo che le più belle chiacchierate le facevo con gli amici miei alle panchine, quando andavo in paese a trovare i parenti, in piazza, vicino la fontana. Che estati meravigliose, con il cocomero e i giochi semplici.
Lo sapete qual è la prima cosa che voglio fare quando finirà la storia del virus? Voglio tornare al paese quest’estate, ed incontrarmi con gli amici alle panchine in piazza, e prenderci un bel cocomero e fare l’alba così, parlando del più e del meno, senza che ci sia un solo cellulare. Il primo cellulare che suona lo buttiamo nella fontana, è una promessa”. (Memorie di un adolescente, A. Battantier, 2020, Giampiero GM, 17 anni). 


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