Uno dei giochi più belli era afferrare le foglie quando cadevano sospinte dal vento.
Mio nonno organizzava tornei per me e gli amichetti del paese.
Ci mettevamo sotto gli alberi, cadevano e noi correvamo, cercando di prenderle con due mani, con una mano, in tutti i modi.
Nonno faceva l'arbitro dei nostri migliori pomeriggi d'autunno.
Io immaginavo che fossero le foglie a divertirsi con noi, a non voler farsi prendere.
Le foglie quando cadono assumono traiettorie incredibili.
Sembra quasi che le hai prese e, all'ultimo, ti sfuggono.
Oppure, ma più raramente, pensi di averle perse e te le ritrovi (insperato regalo) nel cappotto o tra i guanti. Nonno raccoglieva tutte le foglie acciuffate e le teneva per il conteggio finale tra bambini.
Poi le foglie venivano conservate dentro un enorme cesto di vimini che nonna utilizzava per le mele, le nocciole, le castagne o quant'altro.
Ora, io vado di rado in questa casa sull'Appennino tosco-emiliano.
Ci sono ancora quelle foglie.
Guai a chi le tocca.
Anzi, con i miei figli ho iniziato a fare lo stesso gioco.
L'altro giorno ne abbiamo raccolte una ventina.
L'abbiamo messe insieme a quelle di nonno.
Grazie nonno. Il gioco continua.
(Memorie di un bambino, A. Battantier, 2012, Illustrazione, Ana Rey, Populus forest)