Proclama l'onnipresente psichiatra Paolo Crepet:
«Un padre e una madre che ascoltano Mozart non finiranno mai uccisi dal proprio figlio».
Ebbene sì, è ufficiale: basta una sonata e si salva la pelle.
Finalmente una soluzione alla devianza giovanile che non richiede educazione, ascolto, contesto socioeconomico o politiche sociali.
Serve solo un vinile. Di Mozart.
Ma ora sorge spontanea una domanda: i figli di genitori che ascoltano Achille Lauro come sono messi?
Maledetti ma vivi?
O magari sono quelli che si fermano un attimo prima di afferrare il coltello, proprio grazie al beat redentore di “Incoscienti giovani”?
E Wagner? Io lo ascolto e sento crescere in me una discreta voglia di invadere la Polonia.
Il dottor Crepet, al secolo Nostradamus, ci regala dunque una nuova teoria: la musica classica come vaccino contro l’omicidio in famiglia.
Un’affermazione talmente candida che persino il piccolo Mozart in fasce, se potesse ascoltarla, la riscriverebbe in minore.
Eppure, a volerla prendere sul serio, questa frase andrebbe spogliata dal suo mantello da meme e ricondotta al suo vero intento: la musica come simbolo di cultura, educazione emotiva, attenzione, cura.
Ma poi uno pensa a Porcile di Pasolini, dove i genitori colti generano mostri, e gli viene un dubbio.
I nazisti adoravano la musica classica. Mengele pare avesse una passione per Schubert.
Beethoven e Rossini, in Arancia Meccanica, fanno da colonna sonora a stupri e pestaggi.
A volerla dire tutta, la musica può fare miracoli, sì, ma anche scatenare inferni.
Io ascoltavo gli Iron Maiden. E sto bene. Più o meno.
(A. Battantier, Italien Néandertalien, Memorie di un adolescente, Memorie di un amore, Mip Lab, 4/25)
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