In queste settimane abbiamo letto in inglese “Il Canto di Natale” di Charles Dickens.
Tutto avviene durante la notte della vigilia di natale.
Scrooge è un ricco uomo d'affari, cattivo, pretende sempre dagli altri, tirchio ed egoista.
Insomma, come i padroni di mamma e papà lì in fabbrica alla farmaceutica.
Scrooge dà a Cratchit uno stipendio da fame, lo umilia, gli chiede di lavorare sempre di più, è sottopagato, sfruttato e maltrattato, come papà e mamma.
La prima parte della storia mi sembra un documentario per quanto è vero.
Poi, tutto diventa una bella favoletta. Scrooge, questo vecchio odioso, viene visitato da tre specie di fantasmi, ognuno gli porta un ricordo, una memoria, un messaggio di quelli che chi vuole capire capisca.
Il fantasma del suo socio d'affari, Marley, gli dice che se andrà avanti così a fare lo stronzo, saranno problemi, perché nessuno lo visiterà, nessuno vorrà andare al funerale, e tanto, quando schiatta, altri si divideranno le sue cose, l'azienda e la casa.
Ma davvero la gente cattiva è destinata a rimanere sola?
Si dice che cattivi ogni tanto si riposano, gli stupidi mai.
Un par de cazzi, i cattivi non riposano mai e, quando s'incontrano tra loro, studiano per fare i danni!
Si confrontano su come fare la guerra e sfruttare, fedeli alla natura di malvagità.
E se un giorno uno di loro, si alzasse e dicesse serio e commosso:
'Io vorrei amare qualcuno!'.
Ecco, allora tutti si alzerebbero in piedi, scompisciandosi dalle risate, applaudendo a quella specie di geniale battuta.
Comunque, quello che mi è piaciuto di questa favola è che è bello dedicarsi alle piccole cose, a curare gli affetti, l'amore e la bontà può esserci verso di noi e verso gli altri.
Ma non sono così ottimista che gli stronzi cambino da soli.
Secondo me gli serve una mano.
(Memorie di un adolescente, A. Battantier, Edowar, 15 anni, 2015)