Irene aveva gli occhi persi nell'abisso e trascorreva le sue giornate su una panchina nel parco pubblico.
Il sole languiva all'orizzonte e quel luogo rappresentava l'ancora della sua sofferenza.
Lei lo sapeva che nulla resta in eterna quiete, tra poco se ne sarebbe dovuta uscire.
Irene teneva una bottiglia tra le dita nodose anzitempo, la sua compagna fedele, l'unica che le restava.
Il parco avrebbe chiuso tra meno di un'ora, lei avrebbe voluto che non chiudesse mai.
Adesso era così, il silenzio del parco si mescolava con il suo silenzio interiore.
I suoi giorni trascorrevano sempre uguali, come se il mondo continuasse ad andare avanti mentre lei era rimasta ferma, intrappolata in pensieri da nulla ai quali aveva assegnato troppa, troppa importanza.
Alle volte pensava che la vita avrebbe potuto prendere una strada diversa ma, ora come ora, si ritrovava a contemplare un vuoto a rendere.
Un pensiero le passò per la mente: "Forse è tempo di ricominciare". Solo un altro sorso.
Irene non credeva che avrebbe mai potuto lasciarsi andare all'idea di una vita diversa, e poi adesso c'era da terminare la bottiglia di birra, prima che diventasse calda.
Il parco si preparava a chiudere, Irene si alzò lentamente, aveva deciso di uscire prima che quel burbero guardiano la riprendesse bruscamente come sempre.
Era un inizio, una nuova strada della vita.
Con passi incerti Irene iniziò il suo cammino verso l'uscita, per la prima volta era uscita da sola e non male accompagnata.
Poco più tardo il parco si chiudeva dietro di lei, lasciando il suo passato dietro le sbarre dell'ignoto.
(A. Battantier, Irene, 15 storie d'amore e la fiaba di Hélène, 2003. Art by Stephen Stadif)
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