Quando arrivi a pensare di essere altro da quello che sei vuol dire che non stai bene perché la società è malata e hai capito che non è la cura alla tua sofferenza.
Io cerco di capire quelli come me, delusi e amareggiati da questo mondo e che arrivano a voler nascondere e cancellare la loro identità.
So che è importante esprimere le emozioni.
Ma chi c'è là fuori ad ascoltare?
Chi affronta con me la disfatta?
Va bene non voglio chiamarla ancora disfatta, la voglio chiamare sfida, ma è triste sapere di essere soli.
Sono solo.
È chiaro che sto passando un momento difficile, un momento che dura 20 anni, mi sento in conflitto con me stesso e con il mondo che mi circonda.
È che mi vogliono far credere che vada bene così.
Ma de che!?
La società non accoglie chi non riesce a fagocitare, chi non si conforma alle aspettative.
Prima il mio problema erano le pressioni sociali (mio padre, mamma, gli amici che ce la stanno facendo) ma il fatto è che sono solo.
Ci sono alcuni amici che si sentono come me, nessuno ha trovato ancora il modo di vivere una vita felice e soddisfacente.
Siamo tutti i pezzenti insoddisfatti; è che poi ci andrebbe anche bene essere pezzenti, è che vorremmo essere soddisfatti e invece il consumismo ti fotte in questo, trasforma tutto in desiderio da appagare, facendoti dimenticare che potresti avere già quello che invece cerchi inutilmente nelle cose.
Non è facile accettare la propria identità soprattutto quando il mondo intorno a noi sembra non volerla e non vederla.
Mi ha detto Loris, un barbone simpatico del parco Nemorense:
Ricorda che la nostra identità è una parte importante di noi e non dovremmo vergognarcene.
Devo trovare il modo di essere me stesso, anche se è maledettamente difficile.
(A. Battantier, Memorie di un adolescente, 2020, MIPLab, Visconte dimezzato, 20 anni)
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