Giovanni, un uomo sulla sessantina, si svegliò acciaccato dal suo giaciglio di cartone, nascosto tra i vicoli del centro.
Gli occhi socchiusi per la luce dell'alba, si stiracchiò, cercando di sciogliere gli esili muscoli intorpiditi.
Aveva perso il conto degli anni passati così, a vagabondare senza meta.
Ogni mattina, dopo la colazione offerta dall'ostello, prendeva la sua bustina di bruscolini e andava alla panchina vicino al Tevere. Quella panchina era il suo rifugio.
I piccioni lo attendevano ogni giorno.
Erano loro a dargli un senso di appartenenza, un piccolo conforto nella solitudine della sua esistenza.
Giovanni spargeva i bruscolini o altri semini e osservava il brulicare di piume grigie e becchi rapidi.
C'era un piccolo passerotto, diverso dagli altri, che alle volte si avvicinava più degli altri.
Ora il sole era alto e caldo, i turisti cominciavano a riempire le strade.
Giovanni sedeva sulla panchina, circondato dai suoi amici, quando un gruppo di ragazzetti si avvicinò.
Erano in quattro, avranno avuto quindici anni.
Si sedettero sulla panchina di fronte, rumorosi e irrequieti.
Uno di loro, iniziò a prendere di mira i piccioni. Prima con le parole, poi con gesti bruschi di gambe. Gli altri ridevano, incitandolo.
Giovanni li osservava in silenzio, il cuore pesante.
Vedeva i piccioni spaventarsi, alzarsi in volo disordinatamente.
Il passerotto rimase per un attimo, indeciso, poi volò via anche lui.
Giovanni sentì una fitta di tristezza, un dolore sordo che conosceva si prova quando si perde tutto.
Quei ragazzi erano mossi da un istinto di sopraffazione, un desiderio di mostrare forza in un modo che lui, da giovane, non aveva mai conosciuto.
Giovanni chiuse gli occhi, respirando profondamente. Era l'essenza stessa dell'umanità che lo rattristava.
Si alzò lentamente, lasciando cadere gli ultimi bruscolini rimasti.
I ragazzi lo ignorarono, continuando a fare chiasso.
Giovanni si incamminò lungo il sentiero che costeggiava il fiume, sentendosi ancora più solo.
Ma dopo pochi passi, sentì un frullare di ali ed un trrrrurrrr familiare.
Si voltò e vide che i piccioni lo seguivano, il passerotto in testa, svolazzando intorno a lui come per proteggerlo, come per dirgli che non era solo.
Giovanni si fermò, si sedette sull'erba, il cuore come non lo sentiva da anni.
Tirò fuori quel poco cibo che gli era rimasto e lo condivise con i suoi amici.
Si accoccolò e chiuse gli occhi, per la prima volta, dopo tanto tempo, si addormentò con un sorriso felice.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Memorie di un animale, Memorie di una panchina, LorCasalecchio, Art by Stephen Stadif, Mib Lab 2024)
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