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Visualizzazione dei post da settembre, 2024

L'AMORE E LA VANITÀ (L’amore non è fatto di apparenza ma di verità)

Amare ed essere amati, la ricerca dell'equilibrio divino che ci illude, facendoci credere che tutto possa essere risolto sempre nella reciprocità di un sentimento.  Ma amare, e ancora di più essere amati, non è mai questione semplice.  E se dietro l’amore si nasconde l’apparenza, la vanità, l’ombra della paura di non essere abbastanza? La vanità si nutre del nostro bisogno di apparire, di essere ammirati, di essere guardati.  E basta che qualcuno ti guardi, che ti faccia sentire visibile, prezioso, e arrivi a fare qualunque cosa. Fino a vendere la dignità. È un inganno sottile, quello della vanità, perché si traveste d’amore.  Ma non è amore. La vanità prevede un’ammirazione incondizionata, un pubblico privato silenzioso che applaude, senza mai mettere in dubbio ciò che vede.  Si perde la realtà delle cose, delle emozioni, nella costante ricerca di quell’approvazione che diventa essenziale.  Ma in quel processo si perde se stessi.  Apparire diventa più importante che essere, e l’am

MENTIRE A NOI STESSI

“Colui che mente a sé stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso, né intorno a sé e, quindi, perde il rispetto per sé stesso e per gli altri.  Costui, non avendo rispetto per nessuno, cessa di amare e, incapace di amare, per distrarsi e divertirsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari e nei suoi vizi tocca il fondo della sua bestialità, e tutto questo a causa dell’incessante menzogna nei confronti degli altri e di se stesso.  Colui che mente a sé stesso è più suscettibile degli altri all’offesa.  Offendersi a volte è molto piacevole, non è vero?  Eppure egli sa che nessuno gli ha arrecato offesa, ma che egli stesso si è inventato l’offesa e ha mentito per mettersi in mostra”. (Fedor Michajlovic Dostoevskij, I fratelli Karamazov. Art by Stephen Stadif) #memoriediunamore  #stephenstadif  #fedordostoevskij 

VANIDDUZZA: HO VISTO UNA PECORA VOLARE

C'era una volta una pecora, con la testa china a brucare l'erba verde dei pascoli, immersa nel quieto rumore del vento tra i fili d'erba.  Epperò questa pecora aveva un segreto: fin da agnellina aveva preso a guardare il cielo, sempre di più.  Si chiamava Vanidduzza, e non c’era nulla che amasse più delle altezze, delle nuvole che si rincorrevano nel blu, delle stelle che pulsavano di notte. Da quando aveva memoria, Vanidduzza osservava il cielo con una passione che non sapeva spiegarsi.  Mentre il suo gregge si muoveva ordinato attraverso i prati, lei restava indietro, lo sguardo fisso su un piccolo punto bianco che danzava tra le nuvole più grandi.  Era una nuvoletta minuta, evanescente, che sembrava non seguire mai il vento ma piuttosto vagare libera, senza una meta precisa.  Vanidduzza l'aveva notata in un giorno qualunque, e da quel momento non aveva più smesso di cercarla. Col passare delle tempo, la sua ammirazione per la nuvoletta si trasformò in un amore inspie

SEGNALI

Non è facile stabilire dove finisca il lutto e inizi la memoria, quando il dolore si trasforma in una presenza silenziosa, dispersa negli angoli più banali e quotidiani dell'esistenza.  Per anni ho vissuto nell'assenza di mio padre, un'assenza che aveva la densità del piombo, un peso che mi costringeva a camminare china, come se ogni giorno ci fosse un'ombra che mi accompagnava.  Ma quest'ombra, lentamente, si è trasformata in qualcos'altro. Ho smesso di cercarlo nel volto degli altri uomini, nei gesti che non appartenevano a nessuno.  Ho capito che il padre che cercavo non esisteva più, si era dissolto nel mondo.  Eppure non era scomparso. Lo ritrovavo nei posti più impensati, come se fosse lì, frammentato in piccole parti che aspettavano di essere ricomposte. Anni di silenzi, di mancanze che sembravano non avere mai fine.  Il silenzio di una casa vuota, di una tavola senza un altro coperto, di un telefono che non squilla mai.  Il lutto è fatto di spazi vuoti,

L'AMORE DI COPPIA È, ALLA SUA RADICE, UN TENTATIVO DISPERATO DI COMUNICARE (È davvero possibile essere completamente trasparenti?)

Immagina una coppia in una stanza semibuia, la luce entra fioca da una finestra con le tende socchiuse, un poco rovinate e riparate alla buona. È un momento di silenzio apparente, quel tipo di quiete che arriva dopo un temporale emotivo, quando le parole sono state scagliate come pietre e ora giacciono pesanti nell’aria.  Il silenzio tra di loro è molto più profondo di quanto sembri.  Non è solo assenza di rumore, ma una distanza accumulata, costruita strato su strato con incomprensioni, aspettative tradite e parole non dette.  L'amore di coppia è, alla sua radice, un tentativo disperato di comunicare.  In questo silenzio, ciò che si nasconde è l’amore in tutte le sue forme.  Forse, un tempo, è stato Amore Romantico, fatto di passione e intimità, quell’amore che promette di essere tutto, di abbracciare ogni sfumatura del desiderio e della comprensione.  Ma col tempo, la passione si è consumata, lasciando spazio a qualcosa di più tenue, un legame che somiglia più a una vecchia amici

DIO È MORTO? SÌ, DA MO' (È superfluo il ricorso a Dio per spiegare la realtà. La morte di Dio non è una fine, ma un inizio: l’inizio della possibilità per l’uomo di diventare egli stesso creatore di significati, artefice del proprio destino e dei propri valori)

L’affermazione “Dio è morto” rappresenta uno dei concetti più noti e fraintesi del pensiero di Friedrich Nietzsche. Per comprendere questa dichiarazione è necessario contestualizzarla nel quadro del pensiero nietzschiano e del suo rapporto con la modernità, la scienza e la libertà del pensiero. Nietzsche non sta parlando della morte di una divinità in senso letterale, poiché non avrebbe mai accettato l'idea di un Dio reale in primo luogo.  Dio, per Nietzsche, è una metafora per rappresentare l’insieme di valori assoluti e trascendentali che per secoli hanno governato la morale e il pensiero umano, specialmente in Occidente.  La morte di Dio, dunque, segna la crisi di questi valori, che per Nietzsche sono il prodotto di una lunga tradizione metafisica, religiosa e morale che ha soffocato la libertà individuale e il pieno dispiegarsi della volontà di potenza. Con l’avanzare del pensiero scientifico e razionale, le fondamenta su cui si reggevano le credenze religiose tradizionali sono

LA STRADA

C’è una stanchezza senza nome che si posa sul cuore. Le passioni non prevedono mappe, non servono mica ad indicare la strada.   Ci sporgiamo agli angoli cercando l’ignoto, non sapendo dove ci attendono gli abissi. Eppure andiamo, con la speranza fragile e assoluta tra le mani, senza più voltare il viso a quel che è già stato.   In avanti, sempre in avanti, fermarsi ora è cadere. (A. Battantier, Art by Stephen Stadif)

MARE INCRESPATO

Lascia scorrere ogni parola, come pioggia sul mare increspato, nella luce che precede il buio, nel buio che precede la luce.  (A. Battantier, 2010)

IL SENSO "STORTO" DELLA VITA TRA DESIDERIO E REALTÀ

"Ogni vita non vissuta accumula rancore verso noi, e dentro noi. La vita perduta ci si rivolterà contro." (C. G. Jung) L’essenza dell’essere umano, nel suo anelito verso la realizzazione personale, è radicata nella tensione tra il desiderio e la realtà, tra il sogno e ciò che siamo disposti a sacrificare per raggiungerlo.  La vita non vissuta è quella che abbiamo rinunciato a vivere: le passioni che non abbiamo coltivato, i rischi che non abbiamo avuto il coraggio di prendere, i percorsi che abbiamo scartato per paura dell’ignoto.  Il rancore non è solo una forma di sofferenza psicologica, ma un veleno che si accumula gradualmente, minando il nostro equilibrio interiore.  Ogni volta che abbandoniamo un sogno o un'aspirazione per conformarci alle aspettative altrui, facciamo un passo indietro rispetto al nostro nucleo più autentico, allontanandoci dal nostro “centro di gravità permanente”.  Questo ci porta a sperimentare frustrazione, rimorso e quel senso di colpa che ci r

CHI ABBANDONA, ALLA FINE, SARÀ ABBANDONATO

Il sole si abbassava lentamente sull'orizzonte,  promettendo l'ennesima notte calda e insidiosa.  Sulle colline polverose l'asfalto si mescolava alla terra, c'era un silenzio interrotto solo dal ronzio delle cicale e da un lontano motore che sfumava in lontananza.  Una settimana, forse dieci giorni, erano passate da quando avevano iniziato a dargli la caccia.  Ecco perché il branco si muoveva silenzioso, fiutando l'aria densa di minacce invisibili.  Non erano sempre stati randagi.  Ciascuno di loro aveva conosciuto un nome, il suono di una voce che, un tempo, era dolce (ma di questo nutro dubbi).  Qualcuno ricordava il calore di un caminetto, qualcun altro una carezza sul pelo, un’altra una ciotola d'acqua fresca sotto l'ombra di un albero. Adesso erano ombre nell'ombra, un branco selvatico, dimenticato.  Il capobranco, un cane dal pelo ispido e grigio, conduceva gli altri con astuzia affinata dalle lotte quotidiane.  La fame, la paura e la rabbia lo ave

SOCRATE O CARTESIO

Di fronte al bivio, cosa scegliere? Seguire la strada verso il "so di non sapere"? O quella del "penso dunque sono, ovvero esisto?"   La vita ci pone continuamente di fronte a bivi, incroci invisibili dove le strade si biforcano, dove una scelta deve essere fatta, anche quando l'illusione della stasi ci conforta.  Davanti a quel segnale intriso di significati ambigui, conforti (e di nessun conforto), in conflitto tra loro, io ripenso ai discorsi fatti con Millo al liceo: meglio Socrate o Cartesio? Cartesio, con la sua impalcatura razionale, ci offre una sicurezza che il pensiero può trasformare il mondo, che il dubbio metodico ci protegge dall'inganno, che c'è un senso preciso in questa vita, una formula segreta nascosta "solamente" da scoprire.  Uno ci prova, riprova, si ferma, riparte.  Del resto, chi ha detto che sarebbe stato facile?  Cartesio ci consegna l'idea che la ragione sia la nostra ancora, il nostro scudo contro l'infinito