Il sole si abbassava lentamente sull'orizzonte, promettendo l'ennesima notte calda e insidiosa.
Sulle colline polverose l'asfalto si mescolava alla terra, c'era un silenzio interrotto solo dal ronzio delle cicale e da un lontano motore che sfumava in lontananza.
Una settimana, forse dieci giorni, erano passate da quando avevano iniziato a dargli la caccia.
Ecco perché il branco si muoveva silenzioso, fiutando l'aria densa di minacce invisibili.
Non erano sempre stati randagi.
Ciascuno di loro aveva conosciuto un nome, il suono di una voce che, un tempo, era dolce (ma di questo nutro dubbi).
Qualcuno ricordava il calore di un caminetto, qualcun altro una carezza sul pelo, un’altra una ciotola d'acqua fresca sotto l'ombra di un albero.
Adesso erano ombre nell'ombra, un branco selvatico, dimenticato.
Il capobranco, un cane dal pelo ispido e grigio, conduceva gli altri con astuzia affinata dalle lotte quotidiane.
La fame, la paura e la rabbia lo avevano modellato, reso qualcosa di più feroce di quanto persino lui avesse mai immaginato.
Non c'era traccia di compassione negli occhi degli uomini che li inseguivano.
Erano armati di bastoni, fucili, reti e, soprattutto, del pregiudizio che questi cani non fossero più "di nessuno".
Come se l'essere stati abbandonati li avesse privati della loro essenza, del loro diritto di esistere.
Questi cani non erano nati selvatici.
Erano stati creati dalla negligenza, dall'indifferenza e dal tradimento degli stessi uomini che ora volevano distruggerli.
Un giorno erano stati scelti, accolti, chiamati compagni e amici.
Un giorno erano stati lasciati sul ciglio di una strada, vecchie scarpe logore che non servivano più.
La vecchia cagna, dalla zampa zoppa per una ferita mai curata, guardava gli uomini da lontano.
Si ricordava il giorno in cui il suo padrone l'aveva caricata in macchina per l'ultima volta.
Aveva pensato che stessero andando al parco.
Le orecchie tese, la coda che batteva sui sedili posteriori.
Ma poi, l'auto si era fermata lungo una strada di campagna, la portiera si era aperta, e il padrone era salito via senza mai voltarsi indietro.
Lei era rimasta lì, confusa, sola, abbandonata.
E ora, dopo anni di lotta, non riusciva a dimenticare il suono di quel motore che si allontanava.
Il capo cane grigio alzò il muso e annusò l'aria. Il vento portava l'odore di carne bruciata, l'odore degli umani.
Si avvicinavano di nuovo.
Ma non sarebbero stati presi, non facilmente.
Si erano adattati, diventati invisibili nelle notti, parte della terra stessa.
Conoscevano ogni vicolo, ogni cespuglio, ogni nascondiglio.
Quello che gli uomini non capivano era che abbandonare qualcuno lascia una traccia.
Non importa quanto cerchi di dimenticare, quella cicatrice rimane, invisibile, ma presente.
E i figli di quegli uomini stavano osservando. Stavano imparando che la vita, una volta che non serve più, può essere scartata.
Che l'affetto, una volta che è scomodo, può essere dimenticato.
Stavano imparando dai loro padri cosa fare quando quei padri stessi sarebbero diventati vecchi, deboli, inutili.
Il capo cane ricordava il momento in cui aveva capito.
Era stato un pensiero breve.
Gli uomini che li inseguivano, che li cacciavano, non facevano altro che proiettare il loro stesso destino.
Prima o poi, sarebbero stati loro ad essere abbandonati.
Non in una strada deserta, forse, ma in una casa di riposo, in un letto vuoto, in un silenzio che sarebbe scivolato nelle loro orecchie come il rombo di un motore lontano.
Il destino ha un modo tutto suo di riportare indietro ciò che si dà.
Il branco raggiunse il fiume e si fermò, il fiato affannoso, ma gli occhi ancora vigili.
Le ombre degli uomini si intravedevano dietro gli alberi, troppo lontane per colpire, ma abbastanza vicine da far sentire il loro odore.
Il capo cane annusò l'aria di nuovo, e poi sollevò lo sguardo verso il cielo, dove il sole ormai stava per sparire completamente.
Per un momento, sentì qualcosa che somigliava alla pace.
Non si sarebbero fatti prendere. Non quella notte.
Gli uomini avrebbero continuato a cercarli ma i cani, abbandonati, traditi, erano più forti di quanto gli uomini avrebbero potuto immaginare.
E la verità era semplice e tagliente come il vento tra le colline: chi abbandona, alla fine, sarà abbandonato.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Memorie di un animale, 2022)
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