Hai mai pensato a quante volte cerchiamo di scalare una montagna, per poi fermarci al primo ristorante? Ci illudiamo di andare lontano, ma ci fermiamo appena incontriamo una comoda distrazione.
È la natura dell’uomo quella di cercare scappatoie. La mente è costantemente in fuga, mai veramente radicata nel presente. Ci fermiamo a un ristorante non per fame, ma per evitare la fatica del viaggio. E non è solo una montagna fisica, ma un viaggio interiore che evitiamo.
L’amore, la verità, sono montagne che ci spaventano.
Alle volte mi sembra che la paura sia sempre al centro di tutto. L’idea di scomparire, di finire, come dice la canzone.
È la paura della morte, ma è anche la paura di cambiare, di rinunciare a quelle poche cose che ci tengono ancorati a un’idea di noi stessi che nemmeno ci appartiene più.
La paura è il motore principale, ma è una paura che nasce dall’ignoranza. Non conosciamo noi stessi, e così ci aggrappiamo a ciò che è familiare, a ciò che è sicuro.
Brunori parla di quel rischio calcolato che toglierebbe il sapore persino al cioccolato, e io dico che questo è proprio ciò che facciamo: viviamo una vita in cui ogni passo è misurato, ogni rischio mitigato. Ma una vita così è sopra (vissuta).
L’amore, come la vita, non può essere calcolato. Deve essere vissuto nel caos, nella vulnerabilità.
Epperò poi penso che per molti sia difficile accettare questa vulnerabilità. La verità è dura, è scomoda. Ti costringe a guardare dentro, a vedere che non sei quel che pensavi di essere.
Ci troviamo a disegnare una barchetta ferma in mezzo al mare, incapaci di gettarci nell’acqua. Vogliamo sicurezza, ma la sicurezza è un'illusione.
O forse non esiste sicurezza. La mente crea illusioni di stabilità perché ha paura del movimento. Ma la vita è movimento, è cambiamento. E l’amore, se è autentico, è parte di questo flusso. Non può essere statico, non può essere una barchetta ferma in mezzo al mare. L’amore è gettarsi nelle onde, senza sapere dove ti porteranno.
Eppure ci aggrappiamo a quelle quattro, cinque cose che crediamo ci diano un senso, anche quando non ci crediamo più. Cose che ci definiscono agli occhi della gente. Un lavoro, una famiglia, un'immagine. Ci costruiamo identità che alla fine ci imprigionano.
L’identità è solo un altro nome per la paura. Ci identifichiamo con ruoli, con relazioni, con idee che ci danno la sensazione di essere reali. Ma questa realtà è una finzione. Solo quando lasciamo andare tutto questo possiamo sperimentare la verità dell’amore e della vita. Non c’è un senso della vita preconfezionato, ma c’è la possibilità di vivere pienamente, al di là della paura.
E allora il senso della vita? Magari non è altro che accettare che tutto ciò a cui ci aggrappiamo prima o poi scomparirà. Anzi, non solo accettare, ma comprendere che in questa scomparsa, in questa provvisorietà, c’è la libertà.
L’amore vero non ha attaccamenti. È come il mare: ti avvolge, ti sostiene, ma non puoi possederlo.
Il senso della vita, se possiamo parlare di un senso, è vivere senza paura della morte, senza paura della fine.
È lasciarsi andare al flusso della vita, come fa la barchetta di Brunori. Non disegnarla immobile, ma viverla in movimento.
Forse, dopo tutto, il nostro errore è voler controllare l’amore, voler controllare la vita.
Eppure, se solo ci lasciassimo andare, scopriremmo che non c’è nulla da temere.
Non c’è nulla da temere, perché ciò che temiamo non è reale.
Vivendo senza paura possiamo scoprire cosa significa amare, cosa significa vivere.
La stanza rimase in silenzio per un attimo più lungo, e in quell’istante sembrava che ogni parola non detta trovasse il proprio spazio nell’aria. Il viaggio, quello interiore, non ha bisogno di montagne da scalare né di ristoranti dove fermarsi. Solo la comprensione profonda del fatto che l'amore e la vita, sono intimamente legati al rischio, alla caduta, e alla rinascita.
(A. Battantier, Memorie di una canzone, Memorie di un amore, La Verità, Brunori Sas, Mip Lab, 9/24)
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