Non è facile stabilire dove finisca il lutto e inizi la memoria, quando il dolore si trasforma in una presenza silenziosa, dispersa negli angoli più banali e quotidiani dell'esistenza.
Per anni ho vissuto nell'assenza di mio padre, un'assenza che aveva la densità del piombo, un peso che mi costringeva a camminare china, come se ogni giorno ci fosse un'ombra che mi accompagnava.
Ma quest'ombra, lentamente, si è trasformata in qualcos'altro.
Ho smesso di cercarlo nel volto degli altri uomini, nei gesti che non appartenevano a nessuno.
Ho capito che il padre che cercavo non esisteva più, si era dissolto nel mondo.
Eppure non era scomparso. Lo ritrovavo nei posti più impensati, come se fosse lì, frammentato in piccole parti che aspettavano di essere ricomposte.
Anni di silenzi, di mancanze che sembravano non avere mai fine.
Il silenzio di una casa vuota, di una tavola senza un altro coperto, di un telefono che non squilla mai.
Il lutto è fatto di spazi vuoti, ma nel tempo mi sono accorta che anche quegli spazi, prima o poi, si riempiono.
Non di presenze, ma di segnali.
C'è stato un giorno in cui ho notato il primo segnale.
Era mattina, la solita tazza di caffè, una routine che mi ero costruita con cura, come per arginare il caos dell'assenza.
Eppure quel giorno era diverso. Mentre portavo la tazza alle labbra, ho sentito l'aroma del caffè, e per un attimo, come un bagliore che svanisce subito, ho sentito lui.
Non il padre com'era quando è morto, non il volto che mi sono abituata a ricordare con la malinconia delle vecchie foto.
Era qualcos'altro. Era una sensazione, come se il caffè avesse assorbito la sua essenza, come se quella tazza contenesse tutto ciò che di lui avevo amato e perso. Un segnale.
Ci sono stati altri segnali, disseminati nei giorni successivi.
Come quando ho visto il vecchio fico davanti alla casa in campagna, un albero che mio padre aveva piantato tanti anni fa.
Mi sono accorta che quell'albero aveva cominciato a produrre nuovi frutti, nonostante gli anni, nonostante la terra arida. Wilfrid diceva che andava tagliato.
Alle volte c'è la capacità di far fiorire qualcosa anche nei momenti più difficili.
Era lui, in quel fiore, nella solidità della pianta che resisteva alle stagioni.
Poi c'era la quercia, dove papà mi aveva fatto la capanna, la grande quercia era una nave e le vele i sogni miei.
Massiccia e immobile, sembrava indifferente alle intemperie. Mio padre amava quella quercia, e ora la guardo come se fosse un monumento eretto in suo onore.
Ma non è solo questo. Quando mi fermo sotto la sua ombra, sento la sua mano sulla mia spalla, la stessa sensazione che provavo da bambina, quando mi guidava, silenzioso, lungo i sentieri del bosco.
La quercia è lì, immobile come una roccia, ma in qualche modo viva, come lo era lui.
Anche i due rospi che vedo ogni sera, nascosti tra le pietre del giardino, sono segnali.
Mio padre amava osservare le piccole cose della natura, i dettagli che sfuggivano agli altri. Quei due rospi mi osservano con la stessa calma, la stessa quiete che mio padre portava con sé.
È la capacità della natura di conservare ciò che è importante, di restituircelo sotto forme nuove e inaspettate.
Le nuvole, infine. Quelle che si accumulano nel cielo prima della pioggia, che si modellano in figure che sembrano assumere contorni familiari.
A volte mi sembra di vedere il suo volto, altre volte un gesto, un sorriso.
Forse sono solo proiezioni del mio desiderio, fantasmi che il mio cervello, stanco del dolore, ha imparato a creare.
Ma non importa. In quei momenti, sento che lui è lì, con me, che mi osserva dall'alto, come faceva quando ero piccola e mi teneva d'occhio mentre giocavo nel giardino.
Tutto è diventato un segnale, una traccia che mi guida in un mondo senza di lui.
Non è un ritorno, né una consolazione piena. La sua mancanza resta, un vuoto che non potrà mai essere colmato. Ma nei segnali, nelle piccole cose che mi parlano di lui, trovo una nuova forma di presenza.
Una presenza che non ha bisogno di parole, che non ha bisogno di gesti clamorosi, ma che si manifesta nella quieta continuità della vita.
Forse è questo il significato profondo del lutto: imparare a vedere nei segni del mondo ciò che non possiamo più toccare con mano.
Trovare negli odori, nei sapori, nei dettagli della natura un dialogo silenzioso con chi non c’è più.
I segnali sono i loro modi di restare, di accompagnarci, anche quando pensiamo di essere soli.
E così continuo a vivere, attenta a cogliere i segnali.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Cate)
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