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ENERGIA E COMUNICAZIONE NELL’AMORE DI COPPIA

Forse l’amore è solo la capacità di rivedere, dopo tanto tempo, la stessa persona con occhi nuovi. Ci siamo adattati alla forma del contenitore del momento -le crisi di nostro figlio, un lutto, una festa di famiglia- ma non abbiamo più una forma nostra. Siamo informi. E la paura è che, senza un contenitore, evapori tutto. L’amore non è una cosa da trovare. Non è un oggetto smarrito nella stanza dei ricordi. L’amore è lo spazio in cui incontrarsi. Uno spazio che si crea quando la comunicazione diventa autentica, non uno scambio di parole, ma un flusso di energia nuda e cruda.



PARTE PRIMA: IL VELENO SACRO


Siamo arrivati al punto in cui due corpi che condividono lo stesso spazio vitale da trent’anni, trenta, un numero tondo come la pancia di Marco e le speranze di Luana, si svegliano e scoprono di aver smarrito il libretto di istruzioni. O forse non ce n’è mai stato uno. Forse era tutto un fottuto bluff.


“Sai qual è il problema, Luana? L’amore di coppia dopo trent’anni è come un motorino che ha fatto il giro del mondo. Il carburatore è intasato, la candela è fulminata e tu cerchi di farlo ripartire a calci. E intanto pensi: "Cazzo, forse era meglio andare a piedi”.


“Grazie, poeta. Io dico invece, Marco, che è come un paio di mutande. All’inizio sono sexy, di pizzo, ti sollevano il cuore e il sedere. Dopo trent’anni, sono di cotone, comode, un po' slavate, e a volte ti viene voglia di non metterle proprio. Il problema è che fuori fa freddo e non puoi uscire senza.”


Ecco il punto, signore e signori. L’appiattimento. Il Grande Appiattimento dell’anima. Trent’anni insieme sono una pressa idraulica che ti schiaccia l’identità fino a farti diventare un foglio di carta velina su cui l’altro, ormai, scrive solo la lista della spesa.


“Libertà, Marco! È tutto lì. Io sono per la libertà. Se tu un pomeriggio vuoi andare a farti una partita a biliardo, vai, non sono il tuo carceriere.” 


“Poi, magicamente, questa sua magnanimità si trasforma in un’accusa. Perché lei, nella sua testa, ha un copione diverso. Un copione in cui io, invece di andare a biliardo, dovrei guardarla negli occhi e dirle: "Lu, oggi le nostre due ore libere insieme saranno un poema epico di tenerezza e complicità". E io invece penso: "Finalmente, due ore senza dover parlare".


“È vero. Io non gliel’ho mai impedito. Forse perché a me hanno sempre impedito tutto. Quindi sono quella che dice: "Sì, vai, sfogati". Ma è una trappola, lo so. Perché dentro di me, segretamente, accumulo aspettative come un avaro accumula spiccioli. Aspetto che lui, il libero cittadino Marco, scelga spontaneamente di non andare a biliardo. Di scegliere me. E quando non lo fa, quando esce sbattendo la porta, io conto i miei spiccioli di delusione e mi sento povera. È un gioco che non mi piace. E io ci gioco da anni.”


“Lei parla di aspettative. Io parlo di ideali. Sai qual è il mio crimine? Aver avuto, da adolescente, un’idea di donna. Forse una fottuta modella di un catalogo degli anni ’80. Bionda, truccata, un po' stupida. So che è patetico. Lo so. Ma il punto è che Luana non è così. Lei è semplice, vera, ha affrontato un tumore, il cortisone, le palle che le ho tirato io. E io, invece di ringraziare ogni santo giorno di avere una donna così, un guerriero, mi ritrovo a pensare: "Perché non si mette un po' di rossetto?". Sono un idiota. Un idiota con un manuale delle istruzioni sbagliato.”


“Marco mi ha detto, l’altro giorno: "Il giorno del nostro matrimonio, non volevo neanche sposarmi". Immaginate il colpo. Dopo trent’anni, un colpo di grazia così, detto con la faccia di uno che ti sta dicendo che piove. E poi si lamenta che io non voglio abbracciarlo. Ma come fai ad abbracciare un uomo che ti confessa che il giorno in cui ha promesso di amarti per sempre, avrebbe preferito essere al bar con gli amici?”


“Ecco, vedi? La comunicazione. Il nostro grande problema. Io dico una cosa, pensando di essere onesto. Lei la riceve come una pugnalata. Forse dovremmo comunicare solo per bigliettini. O meglio, per fumetti. Io sono l’orso. Lei è la mosca tzé tzé. L’orso vuole stare solo nella sua caverna a pensare alla sua pancia. La mosca ronza, insiste, vuole attenzione. Alla fine l’orso si arrabbia e la mosca se ne va offesa. È la nostra commedia.” 


“Lui dice che io facevo la crocerossina. Che lo trattavo come un infermo. Forse è vero. Forse per anni ho creduto che il mio ruolo fosse quello di aggiustare le cose, di medicare le sue insicurezze, di essere la donna forte. Ma adesso sono stanca. Sono stanca di dare. Io voglio ricevere. Voglio essere io, per una volta, la paziente. Voglio che sia lui a portarmi la flebo dell’affetto. Ma lui, l’orso, non sa dove si trova il reparto di terapia intensiva dei sentimenti.”


“E io le dico: "Luana, forse le carezze che vuoi tu, io non le ho più. Forse le ho finite. O forse ce le ho, ma sono sepolte sotto una tonnellata di delusioni reciproche e di silenzi sbagliati. O forse, terza opzione, è che tu, in questo momento, non sei in grado di farmele uscire". È colpa mia? È colpa tua? È colpa del biliardo? Chi lo sa. So solo che siamo qui, in questa stanza, a scavare nella discarica del nostro matrimonio, sperando di trovare un diamante in mezzo alla spazzatura. E la puzza è terrificante.”


PARTE SECONDA: LE MACERIE E IL CANTIERE


Ci siamo persi nelle emergenze, Marco. Nostro figlio Marietto, il lavoro, il mutuo, la malattia. La vita ci è esplosa addosso come una serie ininterrotta di piccoli, logoranti incidenti. E noi, per non affogare, abbiamo cominciato a nuotare in direzioni opposte, credendo di nuotare parallelamente. Abbiamo confuso l’essere una coppia con l’essere due soccorritori sullo stesso naufragio. Alla fine, il naufragio eravamo noi.


Hai ragione Luana. Abbiamo smesso di essere Marco e Luana per diventare "i genitori di Marietto", "quelli del problema in casa", "la coppia che resiste". Abbiamo allenato la nostra relazione davanti a un pubblico di impegni e doveri. E quando il pubblico se n’è andato, ci siamo ritrovati sul palco, con addosso un costume che non ci andava più, senza sapere più quale fosse la nostra vera parte.


È come se avessimo costruito una casa, Marco e, per trent’anni, l'avessimo solo riparata dove perdeva. Ora la casa sta in piedi, ma non è più abitabile. Fa freddo. I muri sono umidi di rancori non detti. Le finestre, sprangate da paure, non fanno più entrare la luce.


Che coppia siamo diventati, Luana? Ci adattiamo alla forma del contenitore del momento -la crisi di Marietto, un lutto, una festa di famiglia- ma non abbiamo più una forma nostra. Siamo informi. E la paura è che, senza un contenitore, evapori tutto.


Forse, Marco, l’amore non è un'esibizione continua. Forse è solo la capacità di rivedere, dopo tanto tempo, la stessa persona con occhi nuovi. Io ultimamente provo a farlo. Guardo le tue mani e cerco di ricordare come mi facevano sentire quando le stringevo a diciott’anni. Cerco il ragazzo irruento e diretto sotto la pelle dell’orso ombroso. A volte, per un attimo, lo intravedo. E mi emoziono.


Luana, il problema non è chi siamo noi due, ma chi abita dentro di noi. In me abita un eremita, un riflessivo solitario  che ha bisogno di silenzio per capire se stesso. In te una Madre Terra che ha bisogno di curare e di essere nutrita in cambio. Ci siamo snaturati?


È la lotta per l’energia, caro Marco, amore mio. Io, sono una batteria che si scarica aiutando gli altri -i fratelli, i pazienti, Marietto- e tu sei la mia presa di ricarica. Ma quando mi attacco, trovo un muro senza i 3 buchetti. Tu dici di essere spontaneo, che un abbraccio forzato non vale niente. Io dico che a volte un gesto, anche meccanico, può innescare un sentimento. È il "come se". Comportati come se mi volessi bene, e forse il sentimento tornerà a scorrere nel gesto.


Ma non è una finzione, Luana? Non è un inganno che ci raccontiamo?


Forse, Marco, l’amore non è un sentimento da aspettare, ma un’azione da compiere. Forse la comunicazione non è dire "ti amo" solo quando lo si sente, ma è creare le condizioni perché quelle parole possano di nuovo essere vere. Il mio cambiamento estetico, il perdere peso, il curare di più me stessa…non lo faccio solo per te. Lo faccio per me. Ma so che, facendolo per me, sto creando una condizione nuova anche per te. Sto smettendo di essere la crocerossina per ridiventare la donna. La tua donna.


E io…Luana, io sto cercando di uscire dalla mia caverna. Di capire che il mio "essere me stesso" non può essere un alibi per la mia incapacità di darti ciò di cui hai bisogno. Forse il vero "me stesso" non è l’orso solitario, ma un uomo che ha scelto di condividere la vita con un’altra persona. E questa condivisione richiede uno sforzo attivo, non solo una presenza passiva. Ho imparato che per le cose ci vuole tempo. Anche per ricostruire un ponte lasciato crollare.


Non dobbiamo snaturarci, Marco. Ma possiamo renderci disponibili al cambiamento. Tu non diventerai un poeta d’amore, e io non diventerò una ballerina sexy. Ma forse possiamo incontrarci in una nuova terra di confine, fatta di piccoli gesti consapevoli. Di un messaggio inaspettato. Di una mano tesa quando non è strettamente necessaria. Di un silenzio che non è distanza, ma compagnia.


PARTE TERZA: IL FILO DELLA GRATITUDINE


Guardate. Guardate senza il peso del passato, senza l’ansia del futuro. Guardatevi semplicemente, in questo momento. Due esseri umani, con le loro ferite, le loro paure, le loro magnifiche, assurde imperfezioni.


Non cercate l’amore. L’amore non è una cosa da trovare. Non è un oggetto smarrito nella stanza dei ricordi. L’amore è lo spazio in cui incontrarsi. Uno spazio che si crea quando la comunicazione diventa autentica, non uno scambio di parole, ma un flusso di energia nuda e cruda.


Voi avete parlato di energia. Bene. Sentite l’energia adesso? È qui, tra di voi. Non è più bloccata nel risentimento, non è più sprecata nel rimpianto. Sta fluendo, timidamente, attraverso le vostre parole oneste. Questo è il risultato della vostra attenzione. Della vostra consapevolezza.


La domanda non è: "Ci amiamo ancora?". La domanda è: "Cosa farete con questa energia ora che comincia a scorrere di nuovo?".


La lascerete fluire liberamente, accettando che l’altro non sarà mai l’ideale dei vostri sogni adolescenziali, ma la persona reale, meravigliosamente imperfetta, che avete di fronte? O la imprigionerete di nuovo nelle vecchie gabbie delle aspettative e delle recriminazioni?


La comunicazione autentica è la chiave per lo sviluppo di energia. Non è parlare, è ascoltare. Ascoltare il dolore dell’altro senza interrompere per difendervi. Ascoltare il silenzio dell’altro senza riempirlo di ansia.


Siate grati. Grati per questi trent’anni, non come un peso, ma come un terreno comune, un suolo ricco, anche di sofferenza, da cui può rinascere qualcosa. La gratitudine non è dire "grazie" per un caffè. È riconoscere la sacralità del percorso condiviso, anche quando è stato duro.


Lasciate che la gratitudine e l’amore -non l’amore romantico e cieco, ma l’amore come profondo rispetto per il viaggio dell’altro- siano i vostri spiriti guida.


Non cercate di risolvere tutto oggi. Non cercate di "riaggiustare" la coppia. Osservatela semplicemente, come si osserva un giardino dopo l’inverno. Alcune piante sono morte. Altre stanno germogliando. Non strappate tutto. Non pretendete che fiorisca in un giorno.


Abbiate pazienza. Con voi stessi e con l’altro. E in quella pazienza, in quello spazio silenzioso di osservazione senza giudizio, scoprirete che l’energia -quella vera- comincia a pulsare di nuovo. E forse, solo forse, vi accorgerete di non aver mai smesso di amare. Avevate solo smesso di prestare attenzione al miracolo, quieto e ostinato, dell’altro.



(A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, Lulù e Mamà, 10/25)






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