Mi chiamo Luca. Ho tredici anni. C’è una cosa che ho capito. I ragazzi sono diversi quando sono da soli.
Marco, per esempio. Quando viene a casa mia, è tranquillo. Giochiamo con la play. Parliamo. A volte studiamo insieme. È un bravo amico.
Poi c’è la scuola. In classe, quando siamo in gruppo, Marco cambia. Lui e gli altri. Io non so perché.
L’altro giorno, in cortile. Ero da solo, sotto l’albero. Marco è arrivato con Stefano e Andrea. Hanno cominciata prendermi in giro perché sto sempre solo.
Ridevano. Marco rideva più forte. Guardavo lui. Lui non mi guardava.
Un’altra volta, a educazione fisica. Dovevamo fare squadre. Io sono l’ultimo che scelgono. Sempre.
Marco era il capitano. Da solo, mi avrebbe scelto. Lo so. Invece ha detto: “Prendo Stefano”. Poi Andrea. Poi tutti. Sono rimasto io.
“Allora tocca a te, Luca”, ha detto. Tutti ridevano. Anche lui.
A mensa è lo stesso. Se siamo in due, mangiamo e parliamo. Se sono in cinque o sei, cominciano.
“Che schifo, ma come caxxo mangi? Sembri un coniglio.”
Marco lo dice anche lui. Poi, se lo incontro in bagno da solo, mi dice: “Non ti arrabbiare, era per scherzare”.
Non mi arrabbio. Mi chiedo solo come fa una persona a diventare due. Una da solo, una con gli altri.
Mia madre dice che è la società. Che la gente in gruppo fa cose che non farebbe da sola. Che si sente più forte. Meno responsabile.
Io so solo che a ricreazione, a volte, guardo i miei amici. Ridono. Spingono. Urlano. Sembrano un’unica cosa. Una cosa che fa male.
Penso che forse hanno paura. Paura di essere come me. L’ultimo scelto. Quello che sta da solo sotto l’albero.
Forse è più facile essere cattivi insieme che buoni da soli.
Adesso aspetto che suoni la campanella. Vado a casa. Marco forse mi scriverà stasera. Per chiedere se giochiamo online.
Forse sì. Forse no.
Io gli risponderò. Perché da solo, lui non è cattivo.
È solo Marco.
Ma domani a scuola, di nuovo, non lo sarà.
(A. Battantier, Memorie di un adolescente, Mip Lab, 10/25)
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