Mio padre ed io viviamo in silenzio, a volte interrotto da una sequenza di frasi fatte, il nostro dialogo sembra imprigionato da tante bolle di vetro.
Una barriera ci separa, un muro invisibile che ci impedisce di comunicare veramente ed ogni conversazione è un rituale intorno a questioni pratiche. Sembra che vada tutto bene, ma non sappiamo che dirci.
Non è una cosa che posso spiegare facilmente, perché apparentemente sembra che vada tutto bene.
Mio padre è gentile e premuroso, sempre pronto a darmi una mano. Ma c'è qualcosa di inspiegabilmente distante tra noi.
Ho 16 anni, vorrei condividere con lui i pensieri, i sogni, le paure, ma le parole rimangono intrappolate in questa bolla invisibile.
Non so come comunicare con lui, è un mistero vivente (poi dicono i giovani!), un senso di impotenza mi soffoca, e alla fine, mi ritrovo ogni volta rassegnato.
Ho cercato di bucare questa bolla molte volte:
"Perché non mi parli mai, perché non mi ascolti?", gli ho chiesto una sera, sperando di rompere 'sto formalismo palloso.
La sua risposta è stata tranquilla ma sembrava uno psicopatico:
"Sono qui per te, dimmi qual è il tuo problema".
Ma poi, come sempre, mi ha ascoltato distrattamente, con la testa altrove e i suoi occhi si son persi nel vuoto del suo mondo segreto.
Sembra sempre preferire questioni pratiche di routine.
Ha ragione, la vita va avanti con le cose pratiche ma io vorrei solo poter entrare nel suo mondo, condividere i miei pensieri e sentimenti con lui.
Un giorno ho cercato di essere diretto, di scavare più in profondità:
"Papà, ma che significa davvero vivere? Il senso dico, dov'è?" ho detto, guardandolo negli occhi.
Ha mezzo sorriso, come sempre fa, e ha iniziato a parlare di come gestire le finanze o risolvere problemi pratici. Ho dovuto spegnere il mio sguardo, sconfitto.
È come se lui avesse scoperto il segreto di questa vita, un enigma che io non sono riuscito a decifrare.
Per me la vita è un mistero mentre lui rimane saldo nella sua saggezza apparente.
Le bolle ci separano, e io continuo a cercare una via d'uscita, sperando che un giorno possa capire il suo mondo e lui condividere il mio.
A volte penso che sia colpa mia. Forse sono io che non so come comunicare con lui. Forse sono io che sono troppo chiuso.
Ma altre volte penso che sia colpa sua. Forse è lui che ha paura di aprirsi. Forse è lui che non vuole entrare in contatto con me.
Non lo so. Forse la verità è che non c'è una colpa. Forse è solo una di quelle cose che succedono.
Solo una volta, è successo qualcosa.
Stavamo tornando a casa in macchina, dopo una partita di calcio. Io ero seduto in silenzio. Mio padre guidava, ma non parlava.
Ad un tratto, ha fermato la macchina e si è girato verso di me:
"Sai," ha detto, "quando ero giovane, volevo fare il musicista".
Io sono rimasto sorpreso. Non avevo mai sentito parlare di questa sua passione.
"Ma poi ho capito che non era quello che dovevo fare," ha continuato. "C'era una famiglia da costruire, una casa, un lavoro stabile da conquistare".
Ha fatto una pausa:
"Ma a volte penso a come sarebbe stata la mia vita se avessi seguito il mio sogno...se avessi fatto il musicista, sarei stato un fallito, lo so".
Io non sapevo cosa dire.
"Non so," ha continuato mio padre. "Avrei fallito, non avrei avuto successo. Ma almeno avrei provato".
Ha messo in moto la macchina e siamo ripartiti.
Non abbiamo detto altro per il resto del viaggio.
Quella confessione ha cambiato qualcosa.
Ho capito che mio padre aveva dei sogni che non ha realizzato.
Recentemente abbiamo iniziato a parlare di più (un po' di più, adesso non ci allarghiamo!). È un inizio.
(A. Battantier, Memorie di un adolescente, 2023, Edoardo Gramigna, 16 anni)
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