La donna rincasò stanca con passo lento, dopo una lunga giornata di lavoro.
Era il momento in cui la mente, affollata di pensieri e preoccupazioni, provava a sgombrarsi ma quel giorno, la sua ricerca di tranquillità era stata spezzata da una vista sconcertante: due tazze rotte giacevano abbandonate sul marciapiede; ciò che la sorprese di più fu accorgersi che le tazze erano quelle che lei e il suo compagno usavano per la colazione ogni mattina.
Entrò in casa con alcuni frammenti in mano.
Lui se ne stava seduto in cucina, immerso nella lettura di un libro. Lei gli mise le tazze rotte davanti:
"Perché stanno sul marciapiede?" chiese con voce tremante e rabbiosa.
Lui diede un'occhiata ma sembrò non dare importanza alla cosa.
La donna insistette, guardandolo negli occhi in cerca di una spiegazione.
Lui tentò di minimizzare l'accaduto, sostenendo che quelle tazze si erano rotte e che le aveva messe in un sacchetto ma che poi si era lacerato insomma ecco…
Di fronte alla persistente inquisizione di lei, dopo un lungo sospirare, ammise la verità:
"Le ho lanciate questa mattina dalla finestra. Ero arrabbiato”.
Lei lo guardò con occhi severi.
Era stato impulsivo, un modo per sfogare la frustrazione che ormai da tempo covava dentro.
La donna, spaventata da questa confessione inaspettata, chiese spiegazioni su cosa avesse scatenato quell'ira:
"Hai rotto il patto?".
"Ma no che non è vero…ma no che non è vero…cioè sì…un po’".
Con un sospiro di rassegnazione ammise di aver bevuto ancora, rompendo il patto; quel giorno poi aveva perso il controllo.
Lei continuava a fissarlo, voleva sapere. Lui allora aggiunse:
"È anche per le piante!".
La coppia aveva litigato per futili questioni domestiche, ciascuno rigido nelle proprie posizioni, a nascondere problemi radicati in dinamiche più complesse.
La tensione tra loro era palpabile ed aleggiava in casa, da settimane, un silenzio carico di rancore.
Qualche giorno prima lei, con i lineamenti tesi e una sottolineatura di disappunto sul volto, aveva affrontato il compagno intento a riparare lo sciacquone del bagno:
"Non riesco a capire...perché non hai lavato anche le due tazze questa mattina?".
Lui sospirò, scrutando il vortice scuro del suo ennesimo caffè. Aveva svuotato la lavastoviglie e lavato tutti i piatti e le padelle della sera precedente. Ma erano rimaste quelle due tazze, perché avevano fatto colazione dopo, o se n'era scordato, insomma non era da farne un dramma. E tirò la catena per verificare la bontà del nuovo anticalcare.
Lei alzò un sopracciglio, la sua espressione divenne ancor più gelida.
Lui cercò di mantenere la calma ma i suoi occhi tradivano la stanchezza accumulata:
"Ho passato la mattina a giocare con la bimba in cameretta. Mi sono messo sul lettino basso per poterla controllare meglio e farla giocare in sicurezza".
Lei sbuffò:
"Il lettino basso era fatto e tu l'hai messo sottosopra".
La solita trappola, un labirinto di rimostranze senza via d'uscita.
"Ma…ero solo con la piccina, in attesa della nanna. Volevo farla giocare, prepararla al sonnellino, e poi l'avrei rifatto questo cazzo di lettino".
Lei scrollò la testa, poggiando la sua tazza nel lavandino, accanto alla tazza del compagno. Poi si alzò e se ne andò al lavoro.
Che posso dire?
Lei era ossessionata dal perfezionismo, lui, in mancanza di coraggio esistenziale, cercava rifugio nell'alcol.
Ma fu la faccenda delle piante ad aver segnato la via del distacco.
Lui aveva nel balcone il suo rifugio, un'opera d'amore nata dal profondo legame con la terra. Aveva trasformato lo spazio esterno in un microcosmo verde, un piccolo orto botanico colmo di piantine cresciute senza criterio, grazie a semini sparsi e all'amore genuino che metteva in ogni gesto.
Lei non capiva la passione di lui per quell'angolo di terra in miniatura e spesso alzava gli occhi al cielo di fronte alle piantine selvagge e apparentemente disordinate che crescevano sul balcone.
Lui, invece, vedeva in ogni germoglio un miracolo di vita.
Un giorno, lei decise di mettere fine a quella "selvaggia negligenza".
Armata di guanti da giardinaggio e con l'intenzione di liberare il balcone dalla sua "sporcizia", sradicò ogni piantina con cura maniacale.
Lui, ignaro del disastro in corso, scopri più tardi l'atroce verità, quando la mattina dopo aprì la finestra del balcone.
Le piantine che avevano rappresentato la sua gioia erano state sostituite da 4 piante ornamentali, dallo splendido aspetto ma completamente prive di significato per lui.
Rimase sbigottito di fronte a quell'orrore. Tutto ciò che aveva coltivato con tanto amore, ogni seme che aveva piantato e visto crescere, era stato rimosso e gettato in una busta.
Lei aveva agito convinta di fargli un favore, senza comprendere l'importanza di quella terra, di quelle piantine cresciute senza regole, e della tranquillità che gli donavano.
Lui, di fronte alla distruzione delle sue creature, non riuscì a trattenere le lacrime.
Lì, in mezzo a quel balcone spoglio e sterile, sentiva di aver perso una parte di se stesso.
Le lacrime scorrevano sul suo volto, sapeva che la bellezza dell'orto botanico non risiedeva nell'aspetto delle piante ma nell’intesa che aveva con esse, nell'amore che aveva riposto (e ricevuto) in ogni piccola piantina.
Lei vide il dolore nei suoi occhi ma non comprese l'errore che aveva commesso.
Lasciò che le lacrime scendessero, preparò una pasta e ceci, mai chiese perdono per il suo atto.
La notte fu travagliata, lui sul divano, immerso nell'amarezza, lei, nel letto, entrambi rifugiati nei recessi dei loro pensieri.
Un silenzio freddo e impenetrabile permeava le stanze, spezzato solo dai sussurri delle loro menti tumultuose.
"Perché?" si chiedeva lui, mentre il peso di rimorsi ed altri rimpianti gli si appiccicava addosso dal passato.
Si ripeteva mentalmente le parole pronunciate e quelle taciute, chiedendosi se avesse potuto fare qualcosa per evitare tutto questo. Si chiedeva se la colpa di una vita mal spesa fosse davvero solo sua.
I minuti scorrevano lentamente, sapevano che il nuovo giorno avrebbe portato con sé una scelta difficile: ricominciare insieme o intraprendere strade diverse. E la seconda scelta sembrava di gran lunga in vantaggio.
In quella notte, immersi nei loro pensieri tumultuosi, erano prigionieri di una crisi che li faceva dubitare di tutto ciò che avevano costruito insieme.
Lei la mattina dopo preparò la tavola per la colazione, mettendo sul tavolo altre due tazze, una piccola di plastica rosa, ed un bicchiere di legno, ricordo di qualche viaggio in montagna; prese quello che c'era.
Lui, che l'aveva a lungo spiata dal corridoio, preparò il caffè, che poi versò nelle due tazze e si sedette accanto a lei.
Se ne stettero in silenzio, provando a scaldarsi l'un l'altra con i respiri.
(A. Battantier, Due tazze, Mip Lab, 2023)
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