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Visualizzazione dei post da gennaio, 2025

VIAGGIO A TOKYO (l’autenticità non è una questione di parentela, ma di destino. Ci sono persone fatte per comprendere il dolore degli altri, e altre fatte per voltarsi dall’altra parte)

Su Rai play è disponibile il meraviglioso "Viaggio a Tokyo" (東京物語, Tōkyō monogatari, lett. "Una storia di Tokyo"), un film del 1953 diretto da Yasujirō Ozu, considerato da molti come il capolavoro del regista. Un'anziana coppia arriva a Tokyo per la prima volta dalla campagna ma i figli sono troppo occupati, troppo stanchi, troppo presi dalle loro miserie per accorgersi che la vita li sta guardando negli occhi.  I figli stanno sempre a scusarsi, sempre a rimandare. È la storia della famiglia come campo di battaglia.  L’amore filiale come costruzione sociale che regge fino a quando non disturba la vita adulta. Poi diventa un peso, un impegno che nessuno vuole.  E allora si cerca di barattarlo con qualche scusa. Ma c'è una cosa più spaventosa: la normalità con cui tutto questo accade. Nessuno dei figli è un mostro, nessuno fa qualcosa di apertamente crudele. Ed è questo il vero orrore: il tempo che macina i sentimenti e li riduce a formalità, rendendo estranei...

L’ALTRA FACCIA DEL DÉJÀ VU: IL SEGNALE DIMENTICATO (l'importanza di leggere i segnali prima che diventino macerie)

C’è un fenomeno, sfuggente e silenzioso, che si manifesta come il negativo di un’immagine mai sviluppata. Non è il déjà vu, quel lampo di memoria che ci inganna facendoci credere di aver già vissuto un istante presente.  È l'opposto: il passato che ci raggiunge dal futuro, qualcosa rimasto muto per anni, fino al momento in cui, senza preavviso, si accende di senso. Potremmo chiamarlo post-vu, il visto dopo.  Oppure rétro-illumination, la rivelazione tardiva di un evento che all’epoca sembrava insignificante, e che invece era una traccia, un indizio, un presagio.  C’era già tutto, come il destino scritto nelle linee del palmo prima ancora che le dita tocchino la vita.  Ma noi non abbiamo saputo leggerlo. E poi un giorno accade. Camminiamo per strada, una folata di vento ci attraversa, e senza sapere perché, quel vento ha il sapore esatto di dieci anni fa.  La stessa inclinazione dell’aria, lo stesso taglio di luce.  E all’improvviso comprendiamo: quella sera...

NEON SUI CORRIDOI…E SULL’EGO (e questa è, in breve, la storia di una dirigente scolastica, una luce e un ego che avrebbe bisogno di un proprio ufficio)

Non metto il nome della scuola ma io sono il bidello. Bidello presso una cooperativa, per giunta, il che significa che il mio contratto è più fragile di una lampadina al neon già rotta.  E questa è, in breve, la storia di una dirigente scolastica, una luce e un ego che avrebbe bisogno di un proprio ufficio. Tutto è iniziato con un problema pratico, che è il tipo di problema che fa da sfondo al mio lavoro: le luci al neon del corridoio si erano fulminate. Un po' alla volta, quasi tutte.  Immaginate una scuola con persone che si muovevano come esploratori nelle grotte, i genitori che vagavano nei corridoi illuminando i pavimenti con le torce del cellulare e i bambini che -almeno loro- trovavano tutto questo “fichissimo”.  Epperò noi bidelli, no. Noi dovevamo pulire al buio, e vi assicuro che strofinare una macchia sul pavimento senza sapere se è cioccolata o qualcosa di più sospetto è una questione che andava affrontata. Naturalmente, noi bidelli, gli insegnanti, i genitor...

CHE GATTO PETULANTE MOMÒ. MA C'È POESIA NELLA SUA INSISTENZA

Era indubbiamente una stanza silenziosa, spezzata da un lieve fruscio di pagine e dal suono di un gatto che, con la delicatezza di chi sa di essere indispensabile, si accomodava sul corpo di lei, trasfigurando ogni tentativo di normalità.   È un po' come la vita, quando speri che tutto scivoli via, e invece arriva un gatto, poeta pazzo che camminano sui tetti delle anime rotte. Lei, con quella schiena curva e l'aria di chi ha perso il filo anche delle sue stesse ossessioni cercava solo un po' di silenzio tra una pagina e l'altra. E invece, coda sbattuta in faccia. Il gatto è un tramite, un portale verso un universo dove le pagine non finiscono mai e l’oscurità è un’altra forma di luce.   Lei non lo sapeva, ogni volta che il gatto le copriva il viso con la coda, stava proteggendo il suo cuore. In una realtà parallela, quel gesto era un rituale antico, un incantesimo per far sparire la malinconia.  La leggerezza dell’essere, in fondo, è proprio qui: accettare che ...

LA DOCCIA

In una stanza stretta le piastrelle bianche riflettevano la luce artificiale del neon tremolante. L’odore di umidità si mescolava a quello di disinfettante. Mamadou stava in piedi davanti al box doccia, immobile.  L'inserviente gli aveva indicato come fare. Tese una mano verso il rubinetto. Esitò.  Le sue dita sembravano appartenere a qualcun altro, troppo sottili, troppo ossute.  Le mani di un uomo che aveva scavato nella sabbia, che aveva afferrato corde per salvarsi in mare, che avevano stretto altre mani, fredde, inerti, finite.   Quando finalmente girò la manopola, l’acqua esplose con un suono che gli parve violento.  Si ritrasse d’istinto, come se quel getto potesse ferirlo.  Rimase a guardare la doccia che si riempiva di vapore, il vetro che si appannava lentamente.   Tolse i vestiti con movimenti meccanici, uno strato dopo l’altro, lasciandoli cadere a terra.  Erano rigidi, impregnati di sudore e sale, il mare li aveva marcati pe...

IL SOGNO DEL VENTO

In una piccola casa ai margini della scogliera, corrosa dal sale e dai venti, viveva Elias, ma aveva smesso di vivere.  Lo si vedeva seduto sulla veranda, gli occhi persi nel mare, un bicchiere di qualcosa sempre a metà sul tavolo. Aspettava. Cosa, non era chiaro nemmeno a lui.   Una mattina, prima dell’alba, bussò alla porta una donna. Portava un cappotto leggero, inadeguato al vento tagliente, e una borsa che sembrava pesare più di lei.   «Posso entrare?» chiese, senza esitazione.   Elias la fissò a lungo, cercando di capire se fosse reale o un’altra illusione del mare. Poi fece un gesto vago verso la sedia accanto a sé.   La donna non si sedette. Rimase in piedi, dritta, con le mani intrecciate davanti a sé come una supplente che aspetta il silenzio in una classe rumorosa.   «Sei morto?» gli chiese.   Lui si voltò verso di lei, sorpreso, poi rise: «Non ancora, a quanto pare..sono qui, no?.»   «Essere qui non s...

ONDA SU ONDA, IL MARE MI PORTERÀ... (È questo l'amore? Essere niente? Essere tutto?)

Non c’era luna in mare, né stelle, solo il battito dell’acqua e lui galleggiava sopra lei, come su un materassino. Lei lo sorreggeva, ferma, immensa, eppure fragile come un guscio vuoto.  "Sei stanco?", chiese lei, senza guardarlo. Lui non rispose. Il mare si muoveva piano, trascinandoli ovunque volesse, senza fretta, senza intenzione.  "Sai cosa pensavo? -disse lui- non ho mai saputo cosa sia l’amore...l’ho cercato ovunque...sempre a chiedermi se fosse quello...se fosse quello giusto. Adesso... qui, su di te, mi sembra di capirlo per la prima volta...È questo l'amore? Essere niente? Essere tutto?"  Lei non rispose subito. Un’onda piccola li sollevò appena, per poi riconsegnarli al vuoto.  "Forse l’amore non è quello che pensavi -disse infine- è una resa al mistero della fede!" Lui chiuse gli occhi: "Fa paura." "Lo so." Il tempo passava, ogni respiro di lei era un appiglio per lui, ogni peso di lui una prova di quanto fosse ...

PECCATO PER IL NASO!

Era una mattina di novembre quando Marsha, guardando la sua gatta in grembo, lanciò il solito sospiro.  "È bellissima… peccato per il naso!"  La frase rimbalzò nell’aria e Nathan, che si stava sistemando una camicia a strisce, non sollevò nemmeno lo sguardo.  Ormai si era abituato, come tutte le cose che non riesci a cambiare. La gatta, una certosina dal pelo argentato, li osservava con quegli occhi verdi spaventati che sembravano dire: "Ma di che state parlando? Io sono bella così". Marsha continuò a carezzarle la testa, come se stesse cercando di convincere se stessa che l’animale fosse davvero perfetto, eccetto, appunto, per quel maledetto naso grigio.  "Nathan" disse, "dobbiamo fare qualcosa. L’unica cosa che le manca è un naso rosa. E pensare che i gommini delle zampette sono di un meraviglioso rosa antico...che peccato!"   Nathan la guardò ma non rispose.  Avevano speso una fortuna per prenderla.  Era perfetta in tutto, ma il naso... quel n...

VOGLIO UNA PELLE SPLENDIDA

Stringimi madre, ho molto peccato, ma la vita è un suicidio, l'amore un rogo. Passo le notti a sceglier le carte che giocherei, a maledire certe domande che forse era meglio non farsi mai. E voglio un pensiero superficiale che renda la pelle splendida, senza un finale che faccia male, coi cuori sporchi e le mani lavate a salvarmi. Vieni a salvarmi, bacia il colpevole se dice la verità. (Manuele Agnelli, Giorgio Prette, Xabier Iriondo Gemmi) *** NON C'È POESIA IN UNA PELLE PERFETTA (c'è nel graffio, nella cicatrice, nel sangue secco sotto le unghie) Un pensiero superficiale per sopravvivere è un’armatura fatta d’aria. La vita è sporca, la pelle che splende è un lusso.  Non c'è poesia in una pelle perfetta, c'è nel graffio, nella cicatrice, nel sangue secco sotto le unghie. La superficialità è un gioco, un gioco per non cedere alla responsabilità del vivere, che fa paura solo a nominarla questa responsabilità. È come il volto di una donna che conosco, ride mentre nasc...

L'AVARIZIA EMOTIVA (Il trattenere è un tentativo disperato di immobilizzare il tempo)

"Sparirà con me ciò che trattengo, ma ciò che dono resterà nelle mani di tutti" (Rabindranath Tagore) Ieri, nel gruppo di lettura della libreria romana "Passaparola" abbiamo affrontato Giorgio Scerbanenco, il quale ha esplorato il tema dell'avarizia nella sua raccolta di racconti intitolata "I sette peccati e le sette virtù capitali", pubblicata postuma nel 1974. Il tema dell'avarizia è stato affrontato qualche mese (11/24) fa nei laboratori Mip Lab.  Eccole lì, quelle anime miserabili. Mia nonna diceva: "Avare come un becchino che ti chiede il doppio per una cassa vuota".  Stanno sedute sui loro mucchi di cose, stringendo forte i pugni, come se potessero portarli con sé nella tomba.  Sparirà con loro ciò che trattengono, ogni singolo centesimo.  Ma cosa lasciano? È l’incubo dell’accumulo, non si tratta solo di soldi.  È un'avarizia emotiva, uno stitico trattenersi, un rifiuto a condividere il proprio dolore, il proprio amore, giusto ...

LA PERDITA: QUEL CHE RESTA

L'attesa dell'alba, un uccello che non smette di cantare. Ora silenzio, il vento sfiora le persiane, mille schegge io raccolgo, reliquie di un dio caduto, il tuo viso sul vetro del mattino, ma non riconosco il riflesso. L’onda si frange sulla riva, il mare rimane.   Quel che resta finisce in cielo, sai? Si scuce, l'anima si svuota. Ti rincorre la perdita e la morte è un buio che illumina, ti osserva senza volto dai bordi della stanza, e intanto restano i ricordi. Quel che resta è un peso, il dolore vero è un segreto, restano gli sguardi, i silenzi, le mani che hai stretto e quelle volte stupide che hai lasciato andare, quel bagno non fatto al mare. Ho ritrovato un foglio bianco strappato a metà. Quel che resta è un margine, una parola, un’ombra. Il dolore è il maestro che non vorresti mai aver scelto, alla lavagna c'era scritto "la fine è solo un’idea.", e se non c’è ciclo e non c’è inizio, non c’è fine. C’è solo l’attimo in cui respiri, in cui vivi, e lasci c...

BIBITE, FRATRES

frati brindano sotto lo sguardo malizioso di piccoli diavoli, umorismo medievale e saggezza esistenziale. “Bibite, fratres, bibite, ne diabolus otiosos inveniat” l’ozio terreno fertile per il diavolo.  La cultura dell’epoca riconosceva il valore del vivere il presente, ma con il paradosso che l’eccesso, pur divertente, rischia di essere autodistruttivo. La vita è questa dannata corsa contro il niente.  Non fatevi fregare da chi vi vuole disciplinati: brindate e lasciate il diavolo a mangiarsi il fegato. E non è solo il bicchiere (che anzi, a dirla tutta, farebbe male).  È il riso che ci salva.  È il condividere una tavola e un momento.  C’è un’ombra, un mostro sempre dietro l’angolo, pronto a divorarti.  Ma se ridi, se vivi nel momento, quel mostro perde potere.  Il diavolo non sopporta chi si nutre della luce del presente, della semplicità del vino e delle risate. La risata è leggera come l’aria, ma ha un peso filosofico enorme.  È un atto di res...

BULLISMO: BULLI, FAMIGLIE, SOCIETÀ

La mia scuola è una gabbia, non quelle metafore tipo sbarre invisibili ma proprio una gabbia vera, fatta di muri di cemento scrostato e porte che sbattono forte come per ricordarti che sei dentro, che non puoi scappare. Qui dentro, i bulli sono i padroni. Li riconosci subito: sono quelli con le risate che ti perforano il cervello, quelli con la camminata larga padroni del mondo, tutto qui è solo per loro. Ma se credete che il problema siano solo loro, vi sbagliate di grosso. Mi avevano spinto contro l’armadietto. Uno aveva preso il quaderno di matematica e ci aveva sputato sopra. Gli altri ridevano, ovviamente, vigliacchi di merda. Io li guardavo, senza fiatare, con quella rabbia che ti brucia dentro e che non sai dove mettere. Perché gridare non serve, combattere non serve. Se reagisci, peggiora. Sempre. Ma non è stato quel momento a farmi esplodere. No, è stato quello che è successo dopo. La scena di sempre: la prof di scienze che entra e vede il disastro. Il mio quaderno per terra,...

PLUTARCO: A PROPOSITO DI MANGIAR CARNE

Plutarco non scrive di cibo, ma di fantasmi, di ombre che si annidano nei nostri gesti quotidiani, nei coltelli che sminuzzano e nei fuochi che arrostiscono.  La carne è una presenza che parla di sangue versato e occhi spenti, e l'orrore non è solo nelle viscere squarciate ma nella normalità con cui accettiamo quel massacro.  Vedo in Plutarco il riflesso di una tragedia universale: l’uomo che si erge a giudice e carnefice, incapace di guardare negli occhi il proprio prigioniero.  L’empatia, quella parola così abusata, si spezza di fronte al tavolo imbandito, dove ogni animale, essere vivente senziente con un cuore che batte, è ridotto a cosa.  Plutarco ci sfida a chiedere: Perché?  Non un perché scientifico, non una giustificazione evolutiva, ma un perché etico, profondamente umano.  Se puoi vivere senza uccidere, perché non lo fai?  È una domanda che io spesso lancio come un sasso nello stagno della nostra coscienza. Plutarco non indulge in illusioni....

IL PASSERO SOLITARIO(GLI INTROVERSI SOCIEVOLI)

Sono un passero solitario. Non che lo faccia per vanto ma oggi, guardando quei fili ho capito qualcosa.  Una rivelazione, diciamo. Quei fili tesi tra i pali, sempre gremiti, pieni fino a scoppiare di chiacchiere e frastuono. Tutti a cinguettare, tutti a cianciare. Non vi sembra un po’ troppo? A me sì. Così stamattina, mentre tutti si sistemavano uno accanto all’altro, becco contro coda, ala contro ala, a lamentarsi del vento, della pioggia o della vita in generale, ho allargato le ali e me ne sono volato giù, su di un filo in basso.  Bello vuoto, perfetto per me. Ahhh, che pace. Il vento che soffia leggero, il mondo che tace. Un momento tutto mio. La verità è che non mi dispiace essere da solo. Mi dicono che sono un po’ strano, un po’ troppo silente sociopatico. E va bene, lo accetto. Ma sapete cosa? La solitudine ha un sapore che gli altri non conoscono. Ha il gusto del silenzio, di uno spazio tutto tuo dove puoi ascoltare te stesso.  Non il chiasso di cento becchi, ma i...

IL SORRISO DI TUA MADRE

La foglia cade lieve senza chiedere perché.   Nel silenzio del presente tutto si compie:   il sorriso di tua madre,   il respiro che sfiora la sera,  un passo sulla terra umida.   Non c’è sforzo nel vivere, solo il vedere limpido.   Amare è essere, non temere il vuoto tra un pensiero e l’altro.   Prova ancora, sì,   ma senza cercare;   l’amore è il cielo che si riflette nella piccola pozza del tuo cammino.   (A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, 2002) #memoriediunamore  #MIPLab 

NEGARE, RIFIUTARE, TRASFORMARE

Negare la realtà. Rifiutare la realtà. Non è la stessa cosa. Se si nega la realtà non si può rifiutarla. Se si rifiuta la realtà la si può trasformare. (Gian Carlo Zanon) *** Una bambina curiosa chiese alla mamma:   "Mamma, che vuol dire negare? E che vuol dire rifiutare? Sono la stessa cosa?"   La mamma sorrise e rispose:   "No non sono la stessa cosa. Immagina che davanti a te ci sia un grande muro, alto e brutto. Se tu chiudi gli occhi e fai finta che il muro non esista, lo stai negando. È come dire: ‘Non lo vedo, non c’è!’ Ma il muro è ancora lì, anche se tu non vuoi guardarlo.   Ora, immagina invece di guardare bene quel muro, di vederlo per com’è, ma di dire: ‘Non mi piace questo muro, voglio fare qualcosa per cambiarlo!’.  Questo è rifiutare. Non fingi che il muro non ci sia, ma scegli di non accettarlo così com’è."   La bambina ci pensò un po’ su e chiese:    "E perché è importante rifiutare?"   La mamma ...

LA PAROLA (Il silenzio spezzato)

"E in un mondo in cui la parola non conta niente è normale annuire ad un altro sapendo che mente. Indurirsi, diventare freddi e taglienti". (Marracash, 2011) L’uomo seduto sulla panchina di pietra sembrava scolpito nel granito stesso. Intorno a lui, il parco era uno specchio deformante di parole non dette, verità taciute e bugie che respiravano tra le foglie.   È il mondo che ci insegna a mentire.  In un mondo in cui la parola non conta niente è naturale annuire sapendo che l’altro mente.  È un sorriso amaro ad increspare le labbra: Non è naturale.  È una scelta.  Padre, perdona loro perché non sanno...lo sanno, lo sanno! È un’abitudine.  La stessa abitudine che ti ha indurito, che ti ha reso freddo e tagliente.   C'era un riflesso nel vetro del laghetto vicino, una figura sfocata che sembrava il fantasma di sé che aveva dimenticato.   Le parole non servono, ma, se non servono, perché non smettiamo di usarle?  Il cuore dell’uom...

LA VERITÀ

Le parole, lame spuntate, continuano a tagliare, poi, al silenzio, si fanno aria.   Il significato non troverai se non nel tuo stesso riflesso ed è così che si diventa leggeri: dimenticando i dettagli, lasciando che i ricordi scivolino via come acqua tra le dita.      E non c’è nulla da cercare.   La vita non è un enigma, e noi non siamo la sua soluzione.   Sto imparando a guardare il cielo, non per trovarvi risposte, ma per vedere il cielo.   La verità è qui, ora, tra il passo del gatto e una lattina che rotola lungo la via.   Un passo dopo l’altro, come se il sentiero ti seguisse.   Lascia che il vento parli,   che il tempo si pieghi su se stesso. Non c’è nulla da afferrare.   Nulla da perdere.   Respirare è tutto con l'amare.   (A. Battantier) #memoriediunamore  #miplab

DIPENDE DA COME GUARDI IL MONDO (Dialogo immaginario con mio padre. Cambiare punto di vista non cambia i fatti, ma può cambiare il modo in cui li vivi, se ci arrivi)

Dipende, da che dipende, da che punto guardi il mondo tutto dipende, eh? Bella trovata. Non importa il punto di vista. Il mondo è un casino da qualsiasi angolo lo guardi. E noi cerchiano di dargli un senso.  La mente umana è potente ma è anche una macchina del terrore. Creiamo mostri nei nostri sogni e poi li chiamiamo realtà. E quando smettiamo di inventare, iniziamo a distruggere. E in molti fingiamo di essere clown felici. La felicità è una bugia che ci raccontiamo perché non sopportiamo il vuoto. Cambiamo prospettiva, cambiamo punto di vista, ma alla fine? Alla fine, mio padre diceva, c'è il bicchiere mezzo vuoto. E quel vuoto, cari miei, è tutto quello che abbiamo. Il vuoto è anche leggerezza è anche la nostra salvezza. Guarda l’attimo. Cogli l’attimo. E poi?  Lo distruggi con le tue aspettative, lo riempi di significati che non ha mai chiesto. È questo che ci rovina: il bisogno di possedere. Ma l’attimo non è tuo, e non lo sarà mai. E quando lo cogli, cosa ne fai? Lo tie...

IL CACCIATORE (IL CERVO)

All'alba il bosco era già sveglio, anche i due cacciatori, Marco e Sergio, amici d’infanzia, ma rivali in tutto. Si erano spinti fin lì per una sfida.  Chi avrebbe ucciso il primo cervo e poi il più grande?  Nessuno dei due avrebbe ammesso che, oltre alla rivalità, c’era il brandy. Una bottiglia ciascuno, sorseggiata tra battute di nerchie, troie e promesse di gloria.   Il cervo arrivò quando l’aria era ancora ferma.  Un magnifico maschio, imponente e regale. Le corna sembravano intagliate dal vento stesso, e i suoi occhi, scuri guardavano lontano, ignaro del destino che gli uomini volevano imporgli. Marco strinse il fucile con una mano tremante, Sergio fece lo stesso. Un cenno d’intesa, un sorriso appena accennato: "Mó vedémo chi è il più mejo, eh!?"  C’era più di una sfida nei loro occhi.  Il fuoco dell’ego, della supremazia, quel bisogno insaziabile di sopraffare, la natura e tutto da dio concesso. Il cervo, intuendo qualcosa, mosse un passo. L’erba...