VIAGGIO A TOKYO (l’autenticità non è una questione di parentela, ma di destino. Ci sono persone fatte per comprendere il dolore degli altri, e altre fatte per voltarsi dall’altra parte)
Su Rai play è disponibile il meraviglioso "Viaggio a Tokyo" (東京物語, Tōkyō monogatari, lett. "Una storia di Tokyo"), un film del 1953 diretto da Yasujirō Ozu, considerato da molti come il capolavoro del regista.
Un'anziana coppia arriva a Tokyo per la prima volta dalla campagna ma i figli sono troppo occupati, troppo stanchi, troppo presi dalle loro miserie per accorgersi che la vita li sta guardando negli occhi.
I figli stanno sempre a scusarsi, sempre a rimandare.
È la storia della famiglia come campo di battaglia.
L’amore filiale come costruzione sociale che regge fino a quando non disturba la vita adulta.
Poi diventa un peso, un impegno che nessuno vuole.
E allora si cerca di barattarlo con qualche scusa.
Ma c'è una cosa più spaventosa: la normalità con cui tutto questo accade. Nessuno dei figli è un mostro, nessuno fa qualcosa di apertamente crudele. Ed è questo il vero orrore: il tempo che macina i sentimenti e li riduce a formalità, rendendo estranei senza un apparente solido motivo.
Eppure, tra le crepe, c’è lo spazio per un gesto sincero.
Noriko, la nuora, che non ha legami di sangue, è l’unica a donarsi senza secondi fini.
Perché l’autenticità non è una questione di parentela, ma di destino.
Ci sono persone fatte per comprendere il dolore degli altri, e altre fatte per voltarsi dall’altra parte.
La generosità è un fuoco che si rinnova donando. Lo hai dentro o non lo hai. E se lo hai, brucia.
Noriko è bruciata dal suo stesso altruismo. Non si chiede se sia giusto o sbagliato, non pesa il dare e l’avere. Lei dà. Perché?
Forse perché anche lei ha perso qualcosa, forse perché il dolore l’ha resa trasparente alle necessità altrui.
Quei figli non sono cattivi. Sono solo vigliacchi. Perché è più facile credere di essere troppo impegnati, troppo stanchi, troppo distratti.
La vigliaccheria è il cemento con cui si costruiscono i rapporti umani.
Ci si nasconde dietro la fatica del vivere per non dover rispondere alla voce della coscienza.
Ma chi può giudicare davvero?
Chi non ha mai trovato una scusa, chi non ha mai evitato una responsabilità? Guardiamo quei figli con severità, eppure anche noi siamo stati assenti, distratti, egoisti.
La differenza è che Ozu non giudica, osserva.
Il suo sguardo è implacabile e misericordioso al tempo stesso.
Epperò l’ipocrisia è un collante sociale.
Senza ipocrisia, la società crollerebbe. Fingiamo di voler bene ai nostri genitori perché così ci sentiamo meno in colpa.
Fingiamo di rispettare le convenzioni per non affrontare il vuoto sotto di esse.
Noriko è la deviazione dalla norma, il volto di un'anima autentica.
E forse è per questo che fa paura.
L'autenticità non è un merito, l’egoismo non so se sia una colpa. Sono il riflesso di ciò che siamo.
Guardate questi figli, guardate Noriko, guardiamo noi stessi.
E poi domandiamoci: posso davvero amare senza misura?
Posso donare senza aspettarmi nulla in cambio?
Se la risposta è no, non mentiamo.
Se la risposta è sì, non vantiamocene. L’amore è uno stato dell’essere, non una scelta.
(A. Battantier, Memorie di un adolescente, Memorie di un film, 1/25)
#memoriediunamore
#memoriediunfilm
#MIPLab