Era una mattina di novembre quando Marsha, guardando la sua gatta in grembo, lanciò il solito sospiro.
"È bellissima… peccato per il naso!"
La frase rimbalzò nell’aria e Nathan, che si stava sistemando una camicia a strisce, non sollevò nemmeno lo sguardo.
Ormai si era abituato, come tutte le cose che non riesci a cambiare.
La gatta, una certosina dal pelo argentato, li osservava con quegli occhi verdi spaventati che sembravano dire:
"Ma di che state parlando? Io sono bella così".
Marsha continuò a carezzarle la testa, come se stesse cercando di convincere se stessa che l’animale fosse davvero perfetto, eccetto, appunto, per quel maledetto naso grigio.
"Nathan" disse, "dobbiamo fare qualcosa. L’unica cosa che le manca è un naso rosa. E pensare che i gommini delle zampette sono di un meraviglioso rosa antico...che peccato!"
Nathan la guardò ma non rispose.
Avevano speso una fortuna per prenderla.
Era perfetta in tutto, ma il naso... quel naso grigio era una macchia nella loro idea di perfezione.
Così, dopo giorni di discussioni senza senso e citazioni da riviste di gossip sul miglioramento estetico degli animali, avevano deciso di andare dal famoso chirurgo estetico, il professor Julius Baysock, a New York.
Se c’era una persona che poteva sistemare un naso, quella era lui.
"Il naso… è una questione di identità," disse Marsha con uno slancio di passione. "Se non si cambia il naso, non cambia l’identità. E lei… lei ha bisogno di sentirsi completa."
Julius Baysock li guardò dall’alto del suo studio di lusso, il suo volto tirato come una maschera greca.
"Settantamila dollari" aveva detto, come se stesse parlando di una somma che non aveva alcuna importanza. “Se volete che il naso diventi rosa rosa…e, signori miei…qui non è solo una questione di chirurgia, ma di qualità. Certo, un naso rosa non è una necessità, ma chi ha bisogno di necessità quando la bellezza è la risposta?"
Marsha stava già immaginando il risultato.
La gatta con il naso rosa, perfetta in ogni dettaglio.
Erano passate due settimane, e la gatta era sotto anestesia.
Nathan non riusciva a concentrarsi sul lavoro, pensava solo a quel dannato naso.
A volte, la sua vita sembrava come uno di quei film in cui tutto è in bianco e nero, ma il pubblico non si accorge che in realtà è grigio, come il naso della gatta.
Non aveva mai capito perché il mondo fosse così ossessionato dalle apparenze. Eppure c’era caduto.
Ma Marsha… Marsha era diversa.
La sua ossessione per il naso della gatta era solo un piccolo pezzo di quella fissazione, una perenne ricerca di qualcosa che non esiste.
“Il naso rosa,” disse Baysock quella sera, quando la gatta fu svegliata, “è perfetto. Guardate che splendido contrasto con gli occhi.”
Marsha non riuscì a trattenere il sorriso.
“Perfetto.” Poi aggiunse: “Sembra che la gatta abbia trovato finalmente la sua vera identità. E tutto grazie a Lei, professore.” Si girò verso Nathan. “Hai visto? Il naso rosa fa la differenza.”
Nathan non rispose.
La gatta miagolò, ma nessuno la stava più ascoltando.
Sapevano che il mondo fosse pazzo.
Ma loro erano pazzi in un altro modo.
Perché, dopotutto, cosa c’era di più importante di un naso perfetto per una gatta?
Cosa c’era di più importante di dare a un animale la perfezione che loro non riuscivano mai a ottenere?
Marsha si sedette sul divano, accarezzandola.
Il naso rosa brillava sotto la luce della lampada, come un simbolo di qualcosa che non avrebbe mai smesso di sfuggire loro.
La perfezione, pensò, è solo una trappola ben costruita.
Nathan entrò in cucina, scacciando via il pensiero della gatta che ancora si lisciava il pelo.
Il cameriere stava lucidando un bicchiere.
Nathan lo fermò con un cenno del capo.
"Fammi una variante di un Pink Bellini, qualcosa che sembri elegante ma che vada giù come una bestemmia."
Il cameriere non fece domande e si diede da fare: Vino rosé, soda, purea di fragole e lamponi.
Il bicchiere finì sul bancone con il colore di un tramonto che non valeva la pena guardare.
Nathan lo prese e tornò verso il salotto.
Seduto sul divano, lasciò che il vetro freddo gli baciasse il labbro superiore prima di mandare giù un sorso. Il rosa del cocktail lo catturò.
Un colore vivo, perfetto, senza sbavature.
"Il rosa è la fregatura del mondo," pensò. Guardò la gatta.
Quel naso.
Quel naso rosa lucente e chirurgicamente corretto, perfetto.
Era diventato l’epicentro del loro salotto, il motivo per cui si svegliavano al mattino con un po’ meno odio per la vita.
Ma mentre beveva, il suo sguardo scivolò più in basso, sui polpastrelli della gatta.
Erano rosa anche quelli.
Ma un rosa spento, smorto, opaco come una caramella scartata e calpestata sul marciapiede.
Si contrapponevano al naso come un pugno in faccia.
Un naso rosa perfetto su un corpo che gridava imperfezione.
E allora capì.
Non sarebbe mai finita.
Se c’era una cosa da correggere, ce n’era sempre un’altra dietro l’angolo.
Guardò Marsha, che sorrideva ancora al naso della gatta come fosse una Madonnina del Botticelli:
"Hai notato i polpastrelli?" le disse.
Marsha lo guardò, confusa. "Cosa vuoi dire?"
"Non vanno bene. Sono... sbagliati. Grigi in confronto al naso. Guarda il contrasto. Distruggono tutto, l’intera armonia."
Marsha aggrottò la fronte. "Ora che lo dici… sì, sembrano un po’ spenti."
Poi si alzò.
"Domani chiamo il professore."
Nathan mandò giù un altro sorso del cocktail, lasciando che l’alcool gli bruciasse il fondo dello stomaco."Sì," disse, "chiamalo...polpastrelli rosa. Siamo in missione per la bellezza."
La gatta si leccò una zampa, ignara del destino che le stava scivolando addosso come un’ombra lunga e pesante.
Nathan fissò la scena, e in quel momento, capì tutto.
Non si trattava più di un naso, di un pelo o di un polpastrello.
Non si trattava nemmeno della gatta.
Si trattava di loro.
Due persone che avevano bisogno di qualcosa da rifare perché non sapevano cosa significava essere interi.
"Un altro Pink Bellini," disse al cameriere, alzando il bicchiere vuoto. "E questa volta, fallo più forte."
(A. Battantier, Memorie di un amore, Memorie di un animale, Mip Lab, 1/25)
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