"E in un mondo in cui la parola non conta niente è normale annuire ad un altro sapendo che mente. Indurirsi, diventare freddi e taglienti". (Marracash, 2011)
L’uomo seduto sulla panchina di pietra sembrava scolpito nel granito stesso.
Intorno a lui, il parco era uno specchio deformante di parole non dette, verità taciute e bugie che respiravano tra le foglie.
È il mondo che ci insegna a mentire.
In un mondo in cui la parola non conta niente è naturale annuire sapendo che l’altro mente.
È un sorriso amaro ad increspare le labbra: Non è naturale.
È una scelta.
Padre, perdona loro perché non sanno...lo sanno, lo sanno!
È un’abitudine.
La stessa abitudine che ti ha indurito, che ti ha reso freddo e tagliente.
C'era un riflesso nel vetro del laghetto vicino, una figura sfocata che sembrava il fantasma di sé che aveva dimenticato.
Le parole non servono, ma, se non servono, perché non smettiamo di usarle?
Il cuore dell’uomo si contrasse.
Chiudere le parole significava aprire tutto il resto: il vuoto, il dolore, la possibilità.
Perché abbiamo paura, paura di ciò che troveremmo al loro posto.
Solo una risata può spezzare il cielo.
Non c’è niente di cui avere paura.
Quando smetti di parlare, puoi ascoltare.
Quanta fatica inutile per evitare il silenzio.
Ad un tratto il tempo si dissolse.
Non c’era più il parco, né la panchina, né le parole che avevano scavato solchi nella sua anima.
C’era solo un’assenza perfetta, un vuoto che non era mancanza, ma pienezza.
Il silenzio non era freddo né tagliente.
Era solo vero.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, 1/25. Art by Stephen Stadif)
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