All'alba il bosco era già sveglio, anche i due cacciatori, Marco e Sergio, amici d’infanzia, ma rivali in tutto. Si erano spinti fin lì per una sfida.
Chi avrebbe ucciso il primo cervo e poi il più grande?
Nessuno dei due avrebbe ammesso che, oltre alla rivalità, c’era il brandy. Una bottiglia ciascuno, sorseggiata tra battute di nerchie, troie e promesse di gloria.
Il cervo arrivò quando l’aria era ancora ferma.
Un magnifico maschio, imponente e regale. Le corna sembravano intagliate dal vento stesso, e i suoi occhi, scuri guardavano lontano, ignaro del destino che gli uomini volevano imporgli.
Marco strinse il fucile con una mano tremante, Sergio fece lo stesso. Un cenno d’intesa, un sorriso appena accennato:
"Mó vedémo chi è il più mejo, eh!?"
C’era più di una sfida nei loro occhi.
Il fuoco dell’ego, della supremazia, quel bisogno insaziabile di sopraffare, la natura e tutto da dio concesso.
Il cervo, intuendo qualcosa, mosse un passo. L’erba frusciò, e in quell’attimo tutto precipitò.
Due colpi, quasi simultanei, ruppero il silenzio del bosco. Il primo non colpì nulla, ma il secondo trovò un bersaglio: il petto di Sergio.
Marco restò immobile per un lungo istante, il fumo del suo fucile ancora sospeso nell’aria.
Guardò il cervo scattare via, libero e vivo, e poi abbassò gli occhi sul corpo senza vita del suo amico.
Lì, tra le foglie bagnate di rugiada e sangue, c’era il fallimento, quello di un’umanità che si era persa nel gioco crudele del dominio.
"Sai cosa penso?" avrebbero poi detto al bar con una risata sgangherata tra i denti: "Penso che si meritassero tutto. Bere e sparare, un’accoppiata geniale. E guarda come è finita. Bravi stronzi."
Qualcun altro no, non avrebbe riso. Avrebbe visto l’ombra, il peso oscuro di un gesto che non si cancella, che resta lì, come una cicatrice sull’anima di Marco, destinato a svegliarsi ogni notte con quel suono: il colpo di fucile, il tonfo del corpo.
C'è chi avrebbe osservato con disprezzo, vedendo in quel tragico fatto non solo un atto di violenza, ma un paradigma più ampio, l’arroganza dell’uomo, il suo bisogno di vincere anche quando non c’è nulla da vincere.
"E per cosa? Per un cervo? Un cervo che non gliene frega niente di loro."
C'è chi avrebbe esposto un sorriso amaro, parlando dell’essere umano che, pur avendo tutto, si perde nei dettagli, nei giochi meschini che non portano da nessuna parte. La leggerezza non esiste per chi vive per uccidere, si chiama superficialità.
La figlia di Sergio avrebbe scritto una poesia su quel cervo che, con uno scatto, si era lasciato alle spalle la tragedia umana: "Non capirà mai la follia degli uomini, ma si è salvato, e questo è sufficiente."
Le maestre non avrebbero capito, la madre neppure, e l'avrebbero mandata dagli psicologi.
Alla fine, rimase solo il silenzio. Marco, inginocchiato accanto al corpo, guardava il cielo.
Qualcosa in lui si spezzò, o forse si rivelò per la prima volta.
Era solo, piccolo, un granello insignificante in un universo che continuava a respirare senza di lui.
E in quel respiro c’era il cervo, c’era il vento tra le foglie, c’era tutto ciò che l’uomo non poteva possedere.
Tu non sei diverso da quell’animale. Se solo lo avessi capito prima, avresti smesso di cercare di vincere. Non c’è niente da vincere. La vita non è una gara, ma un viaggio. E ora, Marco, il tuo viaggio è appena cominciato.
Il cervo, intanto, correva libero nel bosco, portando con sé l’unica verità: la natura non ha bisogno degli uomini. Ma gli uomini, se vogliono salvarsi, devono imparare dalla natura.
(A. Battantier, Memorie di un animale, Memorie di un amore, Mip Lab, 1/25)
***
IL CACCIATORE
Oggi mi sono commosso.
Mi sono rivisto, a 20 anni, dopo la visione del film di Cimino con un De Niro stratosferico.
Tre notti di incubi e mi si aprì uno squarcio dentro, un film che mi ha devastato e liberato.
Uccidendo
tu predi te stesso.
Uccidendo
tu neghi te stesso.
Sfinita,
la preda cadrà
e con essa barcolla l'anima tua.
Accadrà che un giorno
la peste verrà a farti compagnia.
Oltre la siepe
non c'è il cervo
che tronfio spiavi.
Entro sera e fin dentro
come un peso nero si poserà.
A nulla varrà il tuo M'ARRENDO.
Errando nell'orrido abisso
le ali finalmente spiegò.
(A. Battantier, CACCIATORE, 1990, dopo aver visto Il Cacciatore di M. Cimino e non averci dormito per giorni)
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