NEON SUI CORRIDOI…E SULL’EGO (e questa è, in breve, la storia di una dirigente scolastica, una luce e un ego che avrebbe bisogno di un proprio ufficio)
Non metto il nome della scuola ma io sono il bidello. Bidello presso una cooperativa, per giunta, il che significa che il mio contratto è più fragile di una lampadina al neon già rotta.
E questa è, in breve, la storia di una dirigente scolastica, una luce e un ego che avrebbe bisogno di un proprio ufficio.
Tutto è iniziato con un problema pratico, che è il tipo di problema che fa da sfondo al mio lavoro: le luci al neon del corridoio si erano fulminate. Un po' alla volta, quasi tutte.
Immaginate una scuola con persone che si muovevano come esploratori nelle grotte, i genitori che vagavano nei corridoi illuminando i pavimenti con le torce del cellulare e i bambini che -almeno loro- trovavano tutto questo “fichissimo”.
Epperò noi bidelli, no. Noi dovevamo pulire al buio, e vi assicuro che strofinare una macchia sul pavimento senza sapere se è cioccolata o qualcosa di più sospetto è una questione che andava affrontata.
Naturalmente, noi bidelli, gli insegnanti, i genitori, ci siamo lamentati, con lo spirito di chi sa che i problemi si possono risolvere unendo le forze.
Abbiamo inviato segnalazioni, lettere, email. Avremmo persino mandato un piccione viaggiatore, se non fosse che qui i piccioni li nutrono con briciole di merendine ed è difficile trovarne uno in grado di volare.
E poi c’è lei. La nostra dirigente scolastica. Una donna che definirei inutile, ma sarebbe come insultare l’utilità dell’inutile.
È il tipo di persona che potrebbe inaugurare una fontana in una scuola senza acqua corrente.
Quando finalmente è arrivato un operaio per sostituire le lampade al neon, ha cambiato…una sola luce. Una. Una lampada potentissima che, una volta accesa, illuminava un quadrato di corridoio così brillante che sembrava di stare in una sala operatoria.
Tutto intorno, invece, il buio. Sembrava il set di un film horror.
Lei arriva, controlla il corridoio e, con un sorriso che potrebbe convincere chiunque a odiarla, esclama: “Tutto a posto adesso, no?”
A quel punto, prendo coraggio e le rispondo: “Insomma, mica tanto. Guardi qui: solo una luce funziona. Sembra una stazione spaziale abbandonata.”
Lei mi guarda, pacata come un Buddha: “È un buon inizio. Un passo alla volta arriveranno tutte le luci.”
Un buon inizio. Come dire che una goccia di pioggia è un buon inizio per riempire una piscina olimpionica.
Passano i mesi. Mesi in cui ci siamo abituati a vivere nel semi-buio.
I bambini giocavano a nascondino anche durante le lezioni, noi bidelli portavamo una torcia come accessorio professionale (non vi racconto poi che gioia andare in bagno!).
Poi, dopo quasi 6 mesi, arriva la giornata tanto attesa: gli operai sostituiscono le altre lampade. Finalmente, luce! Una scuola normale.
E lei, la dirigente, come poteva lasciarsi sfuggire l’occasione? Convoca tutti.
Maestre, genitori, persino i bambini, che avrebbero preferito restare al buio piuttosto che partecipare a quello spettacolo.
Arriva con le sue forbici, un nastro rosso, e…sì, fa tagliare il nastro per inaugurare le nuove luci, facendosi scattare foto ad oltranza.
“Ditemi voi se questa non è mania di protagonismo,” dico alla collega bidella, mentre lei scuote la testa. “Protagonismo?
No, è un’arte, l'arte dell’apparenza.”
Alla fine, però, mi rassegno. Chi sono io per giudicare?
Sono solo un bidello. Ma una cosa la so: se il mondo fosse pieno di dirigenti così, sarebbero tutti al buio. Ma almeno avrebbero una bella cerimonia per raccontarlo.
(A. Battantier, Memorie di un lavoro, MSSL, 1/25)
#memoriediunlavoro
#MIPLab