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LA DOCCIA

In una stanza stretta le piastrelle bianche riflettevano la luce artificiale del neon tremolante. L’odore di umidità si mescolava a quello di disinfettante.

Mamadou stava in piedi davanti al box doccia, immobile. 
L'inserviente gli aveva indicato come fare.

Tese una mano verso il rubinetto. Esitò. 
Le sue dita sembravano appartenere a qualcun altro, troppo sottili, troppo ossute. 
Le mani di un uomo che aveva scavato nella sabbia, che aveva afferrato corde per salvarsi in mare, che avevano stretto altre mani, fredde, inerti, finite.  

Quando finalmente girò la manopola, l’acqua esplose con un suono che gli parve violento. 
Si ritrasse d’istinto, come se quel getto potesse ferirlo. 
Rimase a guardare la doccia che si riempiva di vapore, il vetro che si appannava lentamente.  

Tolse i vestiti con movimenti meccanici, uno strato dopo l’altro, lasciandoli cadere a terra. 
Erano rigidi, impregnati di sudore e sale, il mare li aveva marcati per sempre. 
Rimase nudo, la pelle segnata da cicatrici che non ricordava di avere.  

Quando entrò sotto l’acqua, un tremito gli percorse il corpo. Caldo. Era caldo. Non credeva fosse possibile. L’acqua gli cadeva addosso, una pioggia guaritrice.

Chiuse gli occhi. 
Sentì l’acqua scorrergli sul viso, tra i capelli, lungo la schiena. 
Era come se stesse piangendo, ma erano le lacrime della doccia, non le sue. 
Non si permetteva di piangere da anni.  

Ricordò il deserto, la sete che bruciava la gola, il vento che graffiava il viso. 
Ricordò il barcone, il freddo che gli entrava nelle ossa, il respiro corto di chi gli stava vicino, l’odore di paura che nessuno poteva nascondere. 
Ricordò le onde che lo avevano inghiottito, rigettato, e infine risparmiato, preferendogli altri 8 suoi amici.

L’acqua non finiva, non si fermava mai. 
Si chiese quante persone al mondo potevano avere una doccia calda ogni giorno. 

Con le mani si strofinò il viso, le braccia, le gambe. 
Si sentiva diverso sotto il tocco delle proprie dita, come se stesse scoprendo un nuovo strato di sé. 

A un certo punto si lasciò cadere sulle ginocchia, l’acqua continuava a battergli sulla testa, sulle spalle. 
Era una resa. 
Non sapeva più chi fosse, ora bastava essere lì, sotto quel getto d’acqua che lavava via il sale, la paura, il passato.  

Quando si rialzò, sentì che qualcosa dentro di lui si era sciolto. 
Guardò l’acqua che scorreva nello scarico, portando via il sapone, la sporcizia, i ricordi. No, i ricordi no. 

Rimase immobile per un momento, poi chiuse la doccia.  

Uscì e si avvolse in un asciugamano ruvido, gli parve morbido come una carezza. Si guardò nello specchio appannato. 
Non riconobbe il volto che vedeva, ma per la prima volta in mesi, forse anni, non ebbe paura.  

Fuori dalla stanza, l'inserviente lo aspettava. 
Gli sorrise. 
Lui non disse nulla, ma dentro sentì una parola formarsi, chiara e luminosa come il calore che aveva appena provato: domani.

(A. Battantier, Memorie di una panchina, Memorie di un amore, Mip Lab, 1/25) Mamadou)


#memoriediunanimale 
#memoriediunapanchina 
#stephenstadif 
#MIPLab 

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