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Visualizzazione dei post da agosto, 2024

PERCHÉ L'HAI FATTO? PER BELLEZZA, PER AMORE

Anche se sapessi che la fine del mondo è per domani, io andrei ancora oggi a piantare un albero di mele. (Martin Lutero) Le parole di Lutero risuonano come un richiamo all'essenza stessa dell'esistenza.  Uno dirà:  Che senso ha piantare un albero di mele, quando il mondo sta per finire?  Che significato possiamo attribuire a un gesto così apparentemente futile e folle, di fronte all'annichilimento totale?  Epperò, in quel gesto possiamo intravedere qualcosa di straordinario che sfugge ai limiti della ragione.  La nostra mente è abituata a cercare un senso in tutto ciò che facciamo; vogliamo credere che ogni nostra azione, ogni nostro pensiero, abbia una direzione, uno scopo.  Ma cosa succede quando il futuro cessa di esistere?  Quando il tempo si riduce a un singolo istante, privo di prospettiva, privo di domani?  È in quel momento che la natura della nostra umanità emerge, spogliata dalle illusioni del domani. L'atto di piantare un albero di mele, sapendo che non ci sa

CAMMINAVA (Sentiero nel bosco)

Camminava. Non ricordava da quanto, né quanto distante fosse il punto di partenza.  Il sentiero sembrava avvolgerla, un abbraccio che si stringeva sempre più, fino a farle dimenticare la città, le voci, il peso dei giorni.  Camminava, avanzando lentamente, lasciandosi guidare dall'intreccio dei rami sopra la sua testa, che filtravano la luce del sole. Camminava. Il suono delle scarpe sull’erba umida, lo scrocchiare delle foglie sotto i piedi, il fruscio del vento tra gli alberi: un tempo lontano, perduto, mai dimenticato.  Ad ogni passo sentiva un pezzo della sua anima ritornare a casa, un pezzetto alla volta. Camminava. Ad ogni passo, sentiva che la sua mente si liberava dai pensieri inutili che la trattenevano in uno stato di continua agitazione.  Si fermò. Davanti a sé, il sentiero si apriva in una piccola radura, dove la luce del sole si riversava generosa.  Gli alberi si piegavano leggermente, a proteggere quel luogo, a preservarne la purezza.  Avanzò ancora un poco. Fu allora

IL RITORNO IN CITTÀ (La ricerca)

La città è grigia. Ci si perde in città, ci si perde dentro se stessi.  Non è facile trovare un posto dove appartenere, ma è la ricerca incessante di un legame, di un significato che colmi il vuoto. La ricerca, un desiderio di libertà, di amore, di umanità.  È possibile essere liberi in un mondo in cui ogni azione sembra già preordinata?  La libertà mica è solo una condizione dell’essere, è un atto di ribellione contro l’assurdo, contro l’inutilità di una vita vissuta in automatico. E poi c’è l’amore, un tentativo di trascendere se stessi, di fondersi con un altro, di dare un senso a quel solito vuoto che ci divora.  Ma l’amore è anche una condanna, una perdita di sé nella speranza di ritrovarsi nell’altro.  Forse non c’è amore senza una qualche forma di schiavitù, anche se c'è libertà di abbandonarsi completamente, di perdersi per scoprirsi. Vogliamo essere liberi, ma desideriamo essere legati; vogliamo amare, ma temiamo la perdita; cerchiamo il significato, ma sappiamo che l'

LA PIOGGIA (Come non convincere una bambina ad uscire quando piove)

Ti racconterò una storia. Quel giorno, quando sono uscita sotto la pioggia, l'ho fatto con la certezza che ti avrei dimostrato una banalità: che l'acqua non morde, non ti rincorre per farti del male. Solo che la vita, vedi, se ne frega di quello che crediamo.  La pioggia era appena iniziata, gocce leggere, ed io pensavo: "Ecco, vedrà che non c'è niente da temere".  Ma la natura è una vecchia bastarda, sai? Non rispetta i patti.  Così, all'improvviso, ha cominciato a grandinare. E mica grandine sottile. No, quella era grandine che ti spacca la pelle, che ti martella il cranio e ti fa venire voglia di scappare come un codardo. E mentre cercavo di restare lì, con l'ombrello che non serviva a nulla se non a farmi sembrare un'idiota, mi sono inzuppata fino all'osso.  Tu stavi lì, sulla porta di casa, con gli occhioni spalancati e la bocca aperta in un silenzio accusatorio.  Quando finalmente ho deciso di arrendermi e rientrare, eri lì a dirmi:  "Lo

SASSOLINI

(Esse quam videri, Essere piuttosto che apparire. Come possiamo essere autentici in un mondo che premia l’apparenza? Fregandocene un po' di più. Basterà?) Era una tarda mattinata di settembre, la luce del sole si rifletteva sul mare calmo, le onde si infrangevano dolcemente sulla battigia, portando con sé un senso di quiete ad ogni pensiero.  La spiaggia era quasi deserta, se non per due figure che, senza conoscersi, si trovavano lì. Il primo era un uomo di mezza età con il viso solcato da rughe profonde, sedeva sulla sabbia, le mani appoggiate sulle ginocchia, lo sguardo all'orizzonte.  Andrei aveva vissuto a lungo ed ogni sofferenza si era depositata su di lui come una nuova ruga, una cicatrice invisibile che segnava il suo essere.  Indossava abiti semplici, quasi dimessi. Non aveva mai cercato di essere qualcosa che non era; semplicemente viveva, respirava, esisteva.  Per lui, la verità della propria esistenza non richiedeva spettatori. A pochi metri da lui, camminava lentam

UNA GIORNATA AL MARE

Il sole batte sulla sabbia e la sua luce si riflette sul mare e mi ferisce gli occhi.  Il cappello di paglia, inclinato su un lato, non basta a schermarmi da quel bagliore accecante.  Eppure, continuo a fissarlo, il mare, come se tra le sue onde si nascondesse qualcosa che mi riguarda. Il mio corpo ormai vecchio, segnato dal tempo e dalle cicatrici invisibili che la vita mi ha lasciato, si regge stanco in piedi.  Ogni tanto il vento si insinua tra le pieghe della pelle, un brivido a  ricordarmi che sono ancora viva, nonostante tutto, il cuore continua a battere, ostinato. Ci sono stati giorni in cui il mare era per me un rifugio.  Ricordo le lunghe camminate sulla spiaggia con lui al mio fianco, i nostri passi si mescolavano al suono delle onde. C'era una leggerezza, allora, come se tutto il peso del mondo potesse essere lavato via da una semplice risata, da uno sguardo complice, da una piccola onda.  Beffardi i ricordi, affiorano e svaniscono come le onde che lambiscono la riva. M

LA SUA CASA ERA DI ALI E SUONI D'UCCELLO

Il vento portava con sé il suono familiare del battito d’ali e dei cinguettii sommessi.  Seduta sulla vecchia sedia di legno, Marguerite osservava l’andirivieni degli uccelli sopra la sua casa, costruita un poco alla volta.  L’edificio era un intreccio disordinato di assi e finestre raccogliticce, ma per lei era molto più di una semplice abitazione.  La sua casa era un rifugio, un nido cresciuto nel tempo, un mosaico accroccato di vite e storie. Ogni pezzo aveva una storia, come le cicatrici e rughe sulla sua pelle. Marguerite viveva sola, o almeno così dicevano gli altri. Ma in realtà non si sentiva mai sola.  Gli uccelli erano la sua compagnia costante, la sua famiglia. Uccelli d’ogni tipo si radunavano intorno a lei, richiamati dalle mangiatoie che riempiva diligentemente ogni giorno.  Piccioni, colombi, tortore, passerotti: erano tutti fratelli per lei, ognuno con la sua voce unica e con il suo modo di essere.  Li conosceva uno per uno, li aveva visti crescere, li aveva curati nell

IUS SANGUINIS (Memorie di un bambino)

Giochiamo tra bambini nel parco. Tutti siamo nati e viviamo nello stesso quartiere e giochiamo insieme ogni giorno.  Ma mica ogni volta che facciamo un gioco di squadra, alcuni bambini possono essere scelti per le squadre senza problemi, epperò altri bambini devono aspettare molto più a lungo, anche se sono sempre stati lì, hanno sempre giocato con noi e sono bravi quanto gli altri. Questi bambini, anche se sono nati nello stesso quartiere e conoscono tutti, devono dimostrare di essere abbastanza grandi prima di essere scelti come se fossero appena arrivati e nessuno li conoscesse.  Questo succede perché, anche se vivono e giocano con tutti noi da sempre, non vengono considerati parte della squadra fin da subito. E poi ci sta una nuova regola: se un bambino che è stato finalmente scelto per la squadra fa qualcosa di molto sbagliato, come infrangere una regola importante, potrebbe essere mandato via dal gioco e non può più far parte della squadra.  Ma questa regola vale solo per i bambi

IL NOSTRO STATO D'ANIMO PUÒ ANCHE DIPENDERE DAL COMPORTAMENTO DI UN ALTRO...MA MICA SEMPRE

Mi sarei anche rotta di lasciar decidere agli altri come devo sentirmi.  E mica sono una marionetta nelle mani di chi mi circonda! Tutto dicono "è per il tuo bene!", ma vorrei essere io a dirlo. Mia madre è sempre ansiosa, sempre preoccupata per tutto. Mi sento soffocare sotto il peso delle sue ansie. Vorrebbe che io fossi esattamente come è lei, ma io non voglio.  Certe volte mi lascio influenzare, mi sento triste o agitata, solo perché lei è così, ma ora mi sto rendendo conto che non devo permetterlo. I suoi timori non possono essere i miei. Io ho altri sogni, altri desideri, e non voglio che il suo modo di vedere il mondo soffochi il mio.  Io voglio vedere la vita con i miei occhi, non attraverso le sue paure. Poi c’è papà.  Lui è silenzioso, distaccato.  Lavora tanto e tutto lo lascia indifferente...sembra. Mi chiedo se gli importi davvero di quello che faccio o di come mi sento.  Quando era più piccola, forse, era diverso, ma ora sembra che niente riesca a smuoverlo.  M

LA BOA E LA LUNA

Si sentiva in trappola ma c'era una quieta rassegnazione nei suoi occhi.  Erano arrivati al villaggio turistico e già lui sentiva un senso di disagio, doveva dire sì perché altre volte lei aveva detto sì. Ora toccava a lui. La serata era iniziata con una cena nel ristorante affollato del resort, un tavolo vicino alla finestra da cui si scorgeva il mare.  Lei era radiosa, non vedeva l’ora di scatenarsi sulla pista da ballo, circondata dalla musica e dalle risate delle amiche: era un anno che aspettavano questo momento. Quando raggiunsero la discoteca all’aperto, una calca di corpi già ondeggiava sotto le luci intermittenti.  Lei si immerse subito in quell’energia, mentre lui restava ai margini, le mani in tasca, il viso tirato in un’espressione di chi sopporta, di chi si piega e, se proprio serve, si spezza.  Le aveva promesso di accompagnarla, manteneva le promesse, ma sapeva che doveva stare attento, troppi passi falsi con la coscienza potevano costargli un pezzo di sé. Lei ball

L'AMORE PER ME

Quello che sento dentro è che io vorrei essere qui per qualcuno, sarebbe bello avere una persona nella mia vita. A volte mi sento sola, anche quando sono circondata dalla gente. Ognuno vive la sua vita, io mi sento invisibile. C'è muro tra me e il mondo, e non importa quanto io cerchi di avvicinarmi, non riesco mai a superarlo. Esiste qualcuno, da qualche parte, quando mi sento persa? Un amico che ti fa ridere o con cui passare il tempo, qualcuno che riesca a capire cosa stai provando.  Mi viene da piangere un po', perché penso a quanto sarebbe bello avere qualcuno che ti difende dall'oscurità, che ti fa sentire protetta. E poi c’è l’amore.  Lo penso come la cosa più grande, che ti fa sentire al sicuro, accettata, come se finalmente non dovessi più fingere di essere qualcun altro per piacere agli altri.  Cerco qualcuno che mi accetti per quella che sono, con le mie stranezze e le mie insicurezze.  L'amore per me è così, qualcosa che non ti fa sentire mai più sola.  Fors

C'ERA UNA VOLTA UNA BAMBINA

C'era una volta una bambina che sembrava proprio una bambina in tutto e per tutto. Cresceva come una bambina, pensava come una bambina, e tutti la vedevano proprio così, come una bambina. Epperò dentro il suo corpo c'era qualcosa di un po' diverso, che nessuno poteva vedere.  Di solito, quando si nasce, ci sono delle piccole cose invisibili agli occhi chiamate cromosomi, che decidono se saremo maschi o femmine.  La maggior parte delle femmine ha dei cromosomi chiamati "XX", e la maggior parte dei maschi ha dei cromosomi chiamati "XY". Ora, questa bambina di cui vi sto parlando, pur sembrando e crescendo come una bambina, aveva invece i cromosomi "XY", proprio come un maschio.  Ma c'era una cosa speciale nel suo corpo: il suo corpo non riusciva a "sentire" un piccolo aiutante chiamato testosterone, che di solito fa crescere i maschi in un certo modo. Questa cosa accadeva perché nei suoi geni c’era qualcosa di diverso, e perciò il t

TERRORE SUL LAGO DI COMO: BABY CINGHIALE CREA IL CAOS IN UN BED & BREAKFAST

Lago di Como - Panico, puro e incontrollabile. È durato quasi venti interminabili minuti l'assalto di un baby cinghiale che, con la sua irrefrenabile brama di terrore, ha seminato il caos tra i pacifici clienti di un bed & breakfast affacciato sulle placide acque del lago.  Per fermare la minaccia sono dovuti intervenire vigili del fuoco, forze dell'ordine con ben cinque pattuglie e un gruppo di volontari dei "Folgorati". L'inizio della fine è stato intorno alle 10 del mattino, quando la bestiola ha avuto l'ardire di presentarsi senza invito nel giardino del B&B, scatenando un'isteria collettiva tra i clienti.  La sua apparizione, descritta come "un lampo fulmineo di violenza animale" da testimoni terrorizzati, ha gettato nel panico una trentina di persone, impegnate fino a quel momento nella delicata operazione di sorseggiare cappuccini e scorrere Instagram. Ma facciamo chiarezza. Non si tratta del solito cinghiale adulto che, per sbagli

LE CICALE A PARIGI

Giancarlo si svegliò nel cuore della notte, la gola secca, la mente avvolta in un torpore strano, un incubo che non riusciva a ricordare. Ma c’era un suono, un frinire che si insinuava nel silenzio della sua stanza, penetrando attraverso le finestre chiuse, ronzando tra le pareti come un’ossessione. Le cicale. Le cicale a Parigi. Non le sentiva da più di dieci anni, forse più. Eppure, quel frinire era inconfondibile, un richiamo ancestrale che lo trasportava a sud, alle estati roventi di Roma, dove il sole bruciava l’asfalto e l’aria era densa di olezzo di pini e i cipressi del Verano dove andava a studiare da ragazzo. Ma ora? A Parigi?  Nel tredicesimo arrondissement, il canto delle cicale sembrava una nota stonata, una dissonanza in un’opera che non aveva senso... apparente. Scostò la tenda, guardando fuori.  Il cielo era di un nero assoluto, senza stelle, un sipario calato sull’ultima scena di un dramma.  E quel frinire, sempre più forte, più penetrante, sembrava provenire da ogni a

LA CASA SULL'ALBERO (Memorie di un amore)

L’estate era una di quelle interminabili, sospesa nel calore che deformava l’orizzonte e faceva tremolare i ricordi come miraggi. Avevo dodici anni, passavo le ore nascosto nella casa sull'albero, un rifugio costruito con legni sconnessi e immaginazione, sospeso a pochi metri da terra ma abbastanza lontano da sentirmi al sicuro, l’unico custode di un mondo separato. Sarà stato un pomeriggio di quelli che si ripetono identici eppure sempre nuovi, quando la vidi per la prima volta. Lei, la ragazzina della campagna vicina, era apparsa tra le file di balle di fieno che punteggiavano il campo. Ogni suo sguardo mi colpiva al cuore con una precisione inaspettata, come se avesse il potere di penetrare oltre la corteccia rugosa dei miei pensieri infantili, toccando qualcosa di profondo e sconosciuto: Emozioni. Aveva una risata straordinaria, che si propagava nell’aria, facendo vibrare le foglie sopra me. Da quell’altezza, le mostravo ad ampi gesti il mondo, quel mondo che mi sembrava

LA SABBIA BRUCIA MA L’ABBRONZATURA È PERFETTA

Il termometro dell’auto segnava cinquantasei gradi. Sarah guardò il numero con un misto di indifferenza e fastidio. Accelerò sulla stradina laterale, lasciando dietro di sé la coda chilometrica di macchine parcheggiate lungo la Firenze-Pisa-Livorno, dove probabilmente qualcuno già era morto, rimasto senza aria condizionata, qualcun altro brancolava annaspando verso il baretto della spiaggia, nel disperato tentativo di sopravvivere al forno che una volta chiamavano estate. Il mare l’attendeva.  Il pensiero della sabbia calda sotto i piedi e il sole impietoso che baciava la sua pelle già ambrata le riempiva il cuore di un’insolita gioia. O almeno così voleva credere.  La realtà era che una specie di torpore, un’apatia letargica, si era insinuata dentro di lei, un miasma mentale che si mischiava con il caldo opprimente, ma troppo forte era l'ossessione per la sua immagine, voleva l'abbronzatura più bella dell'ufficio. Arrivò allo stabilimento balneare come una sopravvissuta di

PERCHÉ I BAMBINI PICCOLI SI METTONO SEMPRE LE SCARPE AL CONTRARIO?

La mia sorellina Adriana ha solo due anni e una strana abitudine: mette sempre le scarpette al contrario.  Ogni mattina, quando mamma la veste per andare al parco oppure al mare, le scarpe finiscono sempre con il piede sinistro sul destro e il destro sul sinistro.  "No, Adriana, di nuovo! Le scarpine vanno messe al contrario" esclama mamma ridendo.  Io ho otto anni e questa storia delle scarpe mi fa pensare. Un giorno, mentre mamma era indaffarata in cucina e papà sistemava il giardino, mi sono seduta accanto ad Adri sul tappeto del salotto.  Lei giocava con le sue bambole, mettendo anche a loro le scarpe al contrario.  Le ho chiesto: "Adri, perché metti le scarpe così?". Adriana ha alzato lo sguardo, i suoi occhioni curiosi mi hanno fissata per un momento.  Poi ha sorriso con quella sua espressione birichina e ha continuato a giocare. Mio fratello Giamma, che ha 5 anni, ha una sua idea: "Forse così le scarpe sono più felici!".  Ma che significa?  Ho pensa

LA ZONA DI (DIS) INTERESSE

"La Zona d’Interesse", diretto da Jonathan Glazer, emerge a mio avviso come un'opera cinematografica di gelida funzionalità, tanto da sembrare priva di anima.  Questo film, in cui l’assenza di empatia e l'anaffettività dominano, sembra riflettere consapevolmente sulla "banalità del male". Il film rappresenta un’esperienza volutamente “fredda” per lo spettatore.  La mancanza di empatia nei personaggi non è casuale; al contrario, Glazer sembra volerci rendere testimoni dell’orrore puro e della banalità del male.  Non si tratta di partecipare al dolore delle vittime né di immergersi nello stato mentale ed emotivo dei carnefici.  Il film, con la sua freddezza disarmante, ci pone di fronte alla realtà dell’indifferenza che circola intorno al massacro degli ebrei, vittime dei nazisti.  In "La Zona d’Interesse", l’organizzazione del campo di Auschwitz è mostrata con una precisione agghiacciante, una macchina di morte perfettamente oleata, senza alcun segn

IN ATTESA DEL GIUDIZIO UNIVERSALE, DOVE SAREMO ALLOGGIATI DOPO LA NOSTRA MORTE?

Una delle più antiche preoccupazioni dell'umanità riguarda il destino ultimo dell'anima.  Tante sono le illusioni radicate (e grottesche). Tra queste, spicca la fervida immaginazione dell’aldilà, una Disneyland co(s)mica per anime inquiete. Il fervente credente sogna paradisi e inferni. Anch'io, nel mio piccolo, immagino la grande riunione universale, il cosiddetto Giudizio Universale. File di anime tremanti, tutte speranzose di essere ammesse nelle lussuose suite del paradiso o, al contrario, pronte a essere scaraventate nelle camere senza aria condizionata dell'inferno (in terra esiste già, superarlo in crudeltà sarà difficile). Ed ecco la logistica.  Come nei migliori hotel, esistono categorie di stanze: dal modesto Purgatorio con pensione completa fino alla suite imperiale del Paradiso.  Ecco San Pietro, il concierge celeste, impegnato a controllare liste d’attesa e a gestire prenotazioni di anime ansiose di ottenere un avanzamento. L'umanità ha da sempre cercat

I RAGAZZI VANNO VIA (Storie di alieni in terra)

Edo era uno di quelli che aveva passato troppo tempo ad aspettare. Non sapeva nemmeno più cosa aspettasse.  Vent'anni che non vedo un giorno diverso dall'altro, mi diceva, ma sempre con quella scintilla di speranza negli occhi che gli alieni finalmente sarebbero arrivati a portarlo via. "Un mio amico aspetta da 20 anni gli alieni, ogni tanto qualcuno se ne va, soprattutto i ragazzi, vanno via" gli dicevo ogni tanto, come per ricordargli che anche la follia è contagiosa. Viveva in un piccolo appartamento a San Lorenzo, bottiglie vuote e mozziconi di sigarette, libri di fantascienza ammucchiati in ogni angolo.  C'era qualcosa in lui, l'orma di un uomo che una volta era stato felice, o almeno ci aveva provato. "Se mi prendessero gli alieni sarebbe un piacere," diceva con un sorriso amaro, "e poi una bella vacanza da questo mondo di merda ci vuole. Epperò mi sa che prendono prima i ragazzi, lo vedi? I ragazzi vanno via". Io annuivo, alzando il

IL GRAN TEATRO DEI SAPIENTI CHE TUTTO SANNO (contro quelli che ci dicono "è così!", e quelli che ci credono perché l'hanno visto alla tv)

Viviamo in un’epoca di omologazione e conformismo, dove pensiamo di sapere tutto. Ci ingozziamo di informazioni spazzatura, ingurgitiamo dati come se fossero merda secca dentro zucchero filato.  E cosa ne ricaviamo? Noia. Una noia sterile, opprimente, che ci avvolge come nebbia insidiosa. Anche presunzione, naturalmente. Forse sarebbe il caso di fermarci un attimo e guardare il mondo con occhi diversi.  Siamo immersi in un mondo di simulacri, dove la realtà viene sostituita da rappresentazioni e immagini iperreali.  Forse, quello che pensiamo di sapere è solo un'illusione che alternativamente ci assilla e ci conforta, ma sempre e comunque ci imprigiona. E se ci concedessimo una tregua da questa frenesia di sapere tutto imboccati da chi vuole imporre ciò che pensiamo di sapere?  Del resto il controllo dell’informazione e della conoscenza è uno degli strumenti più potenti nelle mani delle élite per mantenere lo status quo.  Se provassimo a vedere il mondo e l'altro con la mente s