"La Zona d’Interesse", diretto da Jonathan Glazer, emerge a mio avviso come un'opera cinematografica di gelida funzionalità, tanto da sembrare priva di anima.
Questo film, in cui l’assenza di empatia e l'anaffettività dominano, sembra riflettere consapevolmente sulla "banalità del male".
Il film rappresenta un’esperienza volutamente “fredda” per lo spettatore.
La mancanza di empatia nei personaggi non è casuale; al contrario, Glazer sembra volerci rendere testimoni dell’orrore puro e della banalità del male.
Non si tratta di partecipare al dolore delle vittime né di immergersi nello stato mentale ed emotivo dei carnefici.
Il film, con la sua freddezza disarmante, ci pone di fronte alla realtà dell’indifferenza che circola intorno al massacro degli ebrei, vittime dei nazisti.
In "La Zona d’Interesse", l’organizzazione del campo di Auschwitz è mostrata con una precisione agghiacciante, una macchina di morte perfettamente oleata, senza alcun segno di rimpianto visibile.
I meccanismi di funzionamento di Auschwitz sono esposti senza emozione, come se il film fosse un documentario asettico sulla logistica dello sterminio.
La freddezza con cui i personaggi si muovono nel film permetterà tuttavia a qualcuno di ritrovare la propria empatia.
Io stesso conosco un'amica ebrea che, in questi tempi di sterminio a Gaza, prepara dolci e scrive un libro di succulente ricette, un'attività apparentemente innocua, ma che, nella sua normalità, rispecchia la capacità umana di dissociarsi dagli orrori circostanti.
Questa dissociazione è rappresentata nel film non attraverso la drammatizzazione, ma attraverso la sua assenza.
Questo film vuoto, così concepito, offre allo spettatore lo spazio per riempirlo con la propria coscienza.
La domanda sorge spontanea:
"Hai visto cosa è accaduto agli ebrei nella seconda guerra mondiale?
Hai percepito l’indifferenza che circola intorno al massacro?".
La risposta non è nei dettagli grafici dell'orrore, ma nell'assenza di emozione che pervade il film.
Ed oggi, hai visto cosa accade ai palestinesi?
Hai percepito l’indifferenza che circola intorno al massacro?
Attualissimo insomma questo film di Glazer. Chi vuole capire, capisca.
Il film, dunque, non deve necessariamente mostrare il dolore in maniera esplicita per evocare una risposta emotiva nello spettatore.
Al contrario, la rappresentazione fredda e anaffettiva serve a illuminare la banalità del male, rendendo lo spettatore testimone non solo degli eventi, ma della stessa struttura mentale che li ha resi possibili: Empatia Specifica e Dissonanza Cognitiva.
(A. Battantier, Frammenti per l'Apocalisse, 2024)
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