Il termometro dell’auto segnava cinquantasei gradi. Sarah guardò il numero con un misto di indifferenza e fastidio.
Accelerò sulla stradina laterale, lasciando dietro di sé la coda chilometrica di macchine parcheggiate lungo la Firenze-Pisa-Livorno, dove probabilmente qualcuno già era morto, rimasto senza aria condizionata, qualcun altro brancolava annaspando verso il baretto della spiaggia, nel disperato tentativo di sopravvivere al forno che una volta chiamavano estate.
Il mare l’attendeva.
Il pensiero della sabbia calda sotto i piedi e il sole impietoso che baciava la sua pelle già ambrata le riempiva il cuore di un’insolita gioia. O almeno così voleva credere.
La realtà era che una specie di torpore, un’apatia letargica, si era insinuata dentro di lei, un miasma mentale che si mischiava con il caldo opprimente, ma troppo forte era l'ossessione per la sua immagine, voleva l'abbronzatura più bella dell'ufficio.
Arrivò allo stabilimento balneare come una sopravvissuta di un naufragio al contrario, con il viso bagnato dal sudore che le scivolava lungo il collo e si mischiava alla crema solare.
Si era preparata con scrupolo: il cappello a tesa larga, gli occhiali da sole che nascondevano metà del viso, il costume scelto con cura per evidenziare l’abbronzatura che tanto desiderava esibire.
Sul cammino verso il suo ombrellone, dovette scansare un corpo, una donna di mezza età distesa su un lettino, il volto di un pallore mortale.
Sarah non si fermò. Non aveva tempo per i deboli. La spiaggia era una guerra, e solo i più resistenti potevano sperare di uscirne con una tintarella decente.
Si distese sotto l’ombrellone, cercando di ignorare i cadaveri che, uno dopo l’altro, venivano portati via, coperti con discrezione da teli da mare mirabilmente colorati.
Il mare era un tappeto increspato di onde scure e minacciose, ma almeno era ancora lì, un’illusione di freschezza in quel mondo bruciato.
Sarah si guardò intorno. La spiaggia era ancora gremita. Uomini e donne, giovani e anziani, tutti partecipavano a quella che ormai somigliava più a una carneficina estiva che a una vacanza.
Un uomo, poco distante da lei, stava urlando contro un bambino che piangeva, il sole bruciava sulla pelle nuda del piccolo malamente ustionato. Nessuno si voltò. Nessuno fece caso.
Il tempo passava, le ore si scioglievano nel caldo, e Sarah si sentiva stranamente vuota. Anche lei iniziava a cedere, lo sapeva. L’ombra dell’ombrellone non bastava più, il calore era un peso che la schiacciava, riducendola a un involucro di carne sudata avariata.
Poi arrivò quel momento, quando il corpo non riuscì più a sopportare. Una fitta al petto, la testa che girava, e capì che stava per collassare di brutto. La razionalità, quella fiammella ormai flebile, la spinse a cercare l’unica cosa che poteva ancora fare: raggiungere l’acqua.
Si alzò, barcollante, e iniziò a strascinarsi verso il mare, senza guardare chi o cosa calpestava, perlopiù gente morente da rispedire al mittente di un'altra vita.
L’acqua era lava. Ma non aveva scelta. Entrò comunque, lasciandosi avvolgere dall’abbraccio ardente, iniziando a nuotare, via, sempre più lontano dalla riva, dalle urla e dai lamenti.
Nuotava senza sosta, come se l’abisso stesso la stesse chiamando, finché non vide qualcosa all’orizzonte: una grotta marina, un rifugio naturale che sembrava offrire un po’ di tregua dal sole mortale. Si trascinò al suo interno, esausta, e si accorse che non era sola.
C’erano altre persone, più di trecento, nascoste tra le ombre della grotta.
Gli occhi di tutti erano spenti, vuoti, come quelli di animali braccati.
Nessuno parlava, si limitavano a respirare, a malapena consapevoli di essere ancora vivi.
Sarah si sedette in un angolo, il respiro affannoso, e chiese a una donna vicina se poteva darle un po’ d’acqua.
La donna la guardò con occhi vitrei e scosse lentamente la testa, stringendo la sua borraccia al petto come un tesoro.
“Fai finta che sia un tè caldo,” disse una voce sottile. Sarah si voltò e vide una bambina, non più grande di otto anni, che le porgeva una piccola borraccia a forma di unicorno. L’acqua all’interno era bollente, ma Sarah non esitò. Bevve lentamente.
“Tanto tra poche ore il sole va via,” continuò la bambina con un sorriso, un sorriso ancor dotato di una qualche speranza. “E poi possiamo tornare tutti a nuoto...vieni con me stasera alla baby dance? Mi sa che mamma non esce stasera!".
Sarah annuì, restituendo la borraccia alla bambina. Sentiva che le forze la stavano abbandonando. Avrebbe dovuto fermarsi, aspettare, ma l’idea di tornare in ufficio con una pelle pallida, di essere derisa per la sua incapacità di resistere, era insopportabile.
Si alzò, un po’ barcollante, e iniziò a camminare verso l’uscita della grotta. Nessuno cercò di fermarla, solo la bimba le tese per un attimo la mano.
Tornò a nuoto, sentendo il calore aumentare ad ogni bracciata. Quando raggiunse la riva, la spiaggia era deserta. Nessun suono, nessun respiro, solo il crepitio del sole sulla sabbia.
Si sdraiò sul suo lettino, guardando il cielo che tremolava sopra di lei, come un miraggio. Chiuse gli occhi, sentendo la pelle bruciare, e si chiese per un attimo se ne fosse valsa la pena.
Ma poi pensò all’abbronzatura perfetta che avrebbe sfoggiato il giorno dopo, e un sorriso si allargò sul suo volto ormai disidratato, crepato.
Il mare mormorava piano da lontano, portando via la sua coscienza, lasciandola sola in quel silenzio irreale.
(A. Battantier, Frammenti per l'Apocalisse, 2024)
***
LE QUATTRO STAGIONI
Primavera, sembra di stare in estate
Estate, fa un caldo che si muore
Autunno, sembra di stare in estate
Inverno sembra una giornata autunnale
Primavera, fa un caldo che si muore
Estate, si muore
Autunno, si muore
Inverno, fa caldo
È troppo tardi.
(A. Battantier, Ciclo 2023/2030)
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