Tornavo spesso con la mente a quei giorni lontani, quando non avevo che dieci anni.
Il ricordo di mio nonno si faceva strada tra i pensieri, portando con sé una nostalgia dolce e malinconica.
Era un uomo d'altri tempi e sapeva fare magie con le sue mani.
Era un artigiano nato, capace di riparare qualsiasi cosa gli capitasse tra le mani.
Niente era troppo rotto o inutile per lui.
Mia madre scuoteva spesso la testa di fronte alla sua ostinazione, ma io, io vedevo in lui un eroe.
Quanti pucci e giocattoli mi aveva salvato dal cimitero, ovvero la spazzatura con mamma becchina.
Ricordo ancora vividamente quella volta che il mio pallone preferito, il mio compagno di giochi innumerevoli, aveva perso la valvola.
Era diventato un oggetto inerte, senza vita, solo una sfera di gomma vuota.
"Gettalo via," mi aveva detto mia madre con un tono definitivo. "Te ne comprerò uno nuovo".
Ma il nonno, che ascoltava silenzioso dal suo angolo, si era avvicinato con quella calma determinata che lo caratterizzava.
"Datemelo," aveva detto semplicemente. E così, quel pallone rotto era passato nelle sue mani.
Per anni il pallone rimase nel suo laboratorio, un piccolo spazio caotico ma pieno di meraviglie.
Ogni tanto gli chiedevo se fosse riuscito a ripararlo, e lui mi sorrideva, rassicurante.
"Ci sto lavorando," diceva sempre.
Ero cresciuto, nel frattempo, giocando con altri palloni, ma mai uno aveva lo stesso peso di quel primo, quello che aveva condiviso con me i miei sogni di bambino.
Poi, un giorno, quando avevo ormai quindici anni, tornai a casa dei nonni e, annoiato, me ne stavo a cambiare canali alla tv.
Sentii d'un tratto il rimbalzo di un pallone che non riconobbi subito.
Era il mio pallone, quello vecchio, quello rotto.
Solo che adesso non era più rotto.
Il nonno mi guardava da lontano, con un sorriso soddisfatto e un lampo di orgoglio negli occhi.
"L'ho riparato," disse semplicemente, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.
Era riuscito fare uscire la valvola, ma si era danneggiato e dunque aveva costruito una nuova valvola, l'aveva rimontata con un nastro speciale (per ridare lo spessore), e il pallone era tornato a vivere.
Mi commossi, non solo per il pallone in sé, ma per quello che rappresentava.
Era la prova tangibile della determinazione e della pazienza di mio nonno, della sua capacità di non arrendersi mai di fronte alle difficoltà.
Mia madre, vedendomi emozionato, mi disse:
"Per fortuna che te ne avevo comprato uno nuovo. Se aspettavamo lui...tuo nonno ci ha messo una vita per ripararlo".
Ma lei non capiva.
Nessun altro pallone avrebbe mai potuto superare quello riparato da mio nonno.
Quel pallone, con le sue cicatrici e la sua storia, era unico.
Lo conservo ancora oggi, a trent'anni, come un tesoro prezioso. Guai a chi me lo tocca.
Ogni volta che lo vedo, mi ricorda il valore della perseveranza, dell'amore e della dedizione.
Mio nonno mi ha insegnato che non si butta via niente, che ogni cosa merita una seconda possibilità.
Ed io, con quel pallone tra le mani, so che aveva ragione.
Il passato non è mai veramente passato; vive in noi, in ogni oggetto che scegliamo di salvare, in ogni ricordo che decidiamo di custodire.
(A. Battantier, Memorie di un bambino, Mip Lab, GMB, 2024)
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