Ricordo ancora quei pomeriggi d'estate, quando il sole era alto e il calore sembrava sciogliere ogni cosa.
Io e i miei fratelli aspettavamo che nostro padre finisse di lavorare.
Appena varcava la soglia di casa, con un sorriso che gli illuminava il viso, ci portava nel cortile.
Lì, armato di gessetti colorati, iniziava il nostro gioco preferito.
Nostro padre tracciava linee, rotonde, frecce e attraversamenti pedonali su quel pavimento di cemento e piastrelle.
Creava città in miniatura, strade intricate che attraversavano il nostro piccolo mondo.
Era un vero divertimento, passavamo le ore per le strade della nostra fantasia, rincorrendo il suono delle ruote delle nostre macchinine.
Ogni curva, ogni incrocio era una nuova avventura.
Seguivamo il codice della strada che papà ci spiegava con pazienza e, se sgaravamo, ci faceva la multa.
Ma quelle multe erano solo un pretesto per farci sorridere, per insegnarci senza mai farci sentire in colpa.
La vera poliziotta, però, era nostra madre.
Non sopportava questi giochi, diceva che sporcavamo tutto il cortile.
Quando scopriva le nostre strade, passava subito lo straccio, cancellando con cura ogni traccia dei nostri disegni. Noi avremmo pulito dopo ma lei no, doveva cancellare subito le tracce di ogni forma di gioco.
Diceva di essere allergica alla polvere del gesso, tossiva e si lamentava mentre lavava via il nostro piccolo mondo.
Ma noi sapevamo che non era solo per la polvere.
C'era un ordine ossessivo che voleva mantenere, una pulizia che le dava pace...per qualche minuto, poi ricominciava a scalpitare lanciandosi contro ragnatele, libri fuori posto, ramoscelli fuori simmetria della siepe.
Papà, però, non si scoraggiava. Aspettava che lei fosse distratta e rifaceva tutto il percorso per la gioia nostra.
Con gesti rapidi e decisi, ridisegnava quelle strade magiche.
E noi tornavamo a giocare, le nostre risate si mescolavano con il rumore delle macchinine, creando un concertino di felicità che riempiva l'aria.
Quello era il nostro mondo, un mondo dove la fantasia non conosceva limiti.
Ogni angolo del cortile poteva diventare una nuova avventura.
Un marciapiede si trasformava in un'autostrada, una piccola pozza d'acqua in un lago da attraversare.
E nostro padre era il nostro maestro di gioco, l'architetto di quei sogni tracciati con il gesso.
Gli anni sono passati, ma quei ricordi sono rimasti vivi nella mia mente.
Ricordo la sensazione del gesso sotto le dita, la polvere bianca che si alzava nell'aria, il calore del sole che ci avvolgeva.
Ricordo il sorriso di papà, la sua complicità, il modo in cui ci insegnava a rispettare le regole del gioco e, allo stesso tempo, a trovare sempre un modo per aggirarle.
E ricordo anche mamma, con il suo straccio, che cancellava tutto con un gesto deciso, imperioso, inutile.
Non poteva cancellare la gioia che provavamo, né i ricordi che quei giochi ci hanno lasciato.
Perché quelle strade disegnate con il gesso erano più di semplici linee su un pavimento.
Erano la prova tangibile dell'amore di nostro padre, della sua dedizione nel creare per noi un mondo di sogni e avventure.
Ogni volta che chiudo gli occhi, posso ancora vederle, quelle strade.
E sentire il suono delle nostre risate, che risuonano come un'eco lontana di quei giorni felici.
(A. Battantier, Mip Lab, Memorie di un amore, Memorie di una bambina, 2024, Simona R, 34 anni)
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