Era un pomeriggio di luglio, il sole bruciava implacabile il cortile del vecchio condominio.
L'aria era ferma, densa, una cappa opprimente che soffocava il respiro.
Un gruppetto di bambini si era radunato sotto l'unico albero del cortile, un noce mezzo morto, dalle foglie ingiallite e rattrappite.
Il loro rifugio, seppur malandato, una presenza familiare, quasi un compagno di giochi.
Le risate dei bambini e i loro bisbigli riempivano il cortile, ma sotto quel vociare si percepiva una tensione strisciante, un’inquietudine che sfiorava i loro animi.
Nicolò, il più grande del gruppo, con i suoi undici anni appena compiuti, scrutava gli altri con una luce strana negli occhi.
Si notava che c’era qualcosa che gli altri non colsero, o forse non vollero cogliere.
"Siamo tanti oggi," disse Nicolò, la sua voce calma ma con una nota impercettibile che faceva rabbrividire nonostante il caldo.
"Cosa facciamo? Giochiamo a 'Guardie e Ladri' o a 'Uomo Ghiaccio'?" proseguì, mentre gli altri si guardavano tra di loro, esitanti.
"Mi piace 'Guardie e Ladri'," disse Samuele, il più vivace del gruppo, saltellando nervosamente. "Scappare e nascondersi è più divertente".
"Ma se mi prendono e mi mettono in prigione, è noioso stare fermo," ribatté Gian Maria, asciugandosi la fronte sudata.
"A me piace di più 'Uomo Ghiaccio'. Posso correre e liberare gli amici," disse Maria Sole, la più taciturna.
Nicolò osservava i suoi amici. L'ombra dell'albero si allungava sui loro volti, marcando la tensione che cresceva. "Giochiamo prima a 'Guardie e Ladri' e poi a 'Uomo Ghiaccio'," propose, cercando di mantenere un equilibrio fragile.
Gli sguardi incerti si incrociarono. "Va bene," disse Samuele con un sorriso forzato. "Così nessuno si annoia."
Cominciarono a giocare, dividendo le squadre tra guardie e ladri. Le risate erano meno spontanee del solito, i movimenti più cauti. L'ombra dell'albero sembrava allungarsi, inghiottendo i bambini. Il calore opprimente li stringeva in una morsa invisibile.
Dopo un po', stanchi e col fiato corto, si radunarono di nuovo sotto l'albero. "Adesso tocca a 'Uomo Ghiaccio'," esclamò Nicolò, ma il suo entusiasmo suonava forzato, fuori luogo.
Mentre continuavano a giocare (ci provavano) le risate si fecero più nervose, i movimenti più frenetici.
Il crepuscolo avvolgeva il cortile in una luce fioca, e l'ombra dell'albero diventava sempre più minacciosa.
"Perché non riusciamo a divertirci oggi?" chiese Maria Sole, con gli occhi che riflettevano una preoccupazione crescente. A Maria Sole iniziarono a bagnarsi gli occhi di lacrime.
Nessuno rispose. La verità era che il giorno dopo uno di loro sarebbe partito per sempre. Nicolò avrebbe lasciato l'Italia con la sua famiglia per trasferirsi in Inghilterra. Non avevano voluto parlarne, come se ignorarlo potesse far sparire quella realtà incombente.
La consapevolezza che quel pomeriggio fosse l'ultimo insieme li soffocava, come il caldo implacabile di quel giorno d’estate.
Giocarono fino al tramonto, ma nessuno riuscì a scrollarsi di dosso quella sensazione di addio imminente.
L'albero, con i suoi rami scheletrici, sembrava osservare i loro movimenti con un ghigno sinistro.
Quando si ritirarono nelle loro case, nessuno riuscì a dormire serenamente. Nei sogni, l'ombra dell'albero continuava a incombere, mentre l'eco delle loro risate spezzate risuonava nel buio.
La partenza di Nicolò sarebbe stata l’inizio di una nuova vita, ma per tutti, nulla sarebbe stato più come prima.
(A. Battantier, Memorie di un bambino, 2024)
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