LA MEMORIA E IL RANCORE (Dimentichiamo ciò che non ci serve, che non ci è utile, ciò che non ci definisce)
Il ricordo delle offese è più tenace di quello dei benefici, dice Seneca. Come un chiodo piantato nel legno dell’anima, l’ingiuria resta, mentre il dono si dissolve come sabbia tra le dita.
E la gratitudine?
Perché siamo fatti così, perché la ferita brucia più a lungo del balsamo?
Perché l’orgoglio si nutre di dolore e l’amore si nutre di oblio.
Perché dimentichiamo secondo apparentemente dissonanti criteri?
Come se la memoria fosse un tessuto lacerato, dove certi fili si perdono e altri restano intrecciati.
Non dimentichiamo tutto.
Se così fosse, non avremmo storia e non avremmo rimpianti. Dimentichiamo ciò che non ci serve, che non ci è utile, ciò che non ci definisce.
Eppure, si dice che la gratitudine sia un sentimento raro...o scomodo.
Accettare un dono significa riconoscere un debito, e pochi amano essere debitori.
E allora perché il rancore resta?
Perché è un veleno che ci tiene in vita.
Finché ricordiamo il torto subito, ci sentiamo ancora protagonisti della nostra storia, padroni della nostra rivalsa.
Epperò questo significa condannarci a vivere nel passato, a rimestare nelle ceneri.
Forse. Ma chi dimentica tutto, chi perdona sempre, non rischia di essere schiacciato?
Eppure, chi serba il rancore, schiavo resta della sua stessa memoria.
La memoria è un’arma a doppio taglio.
Può salvarci dall’inganno, ma anche incatenarci alla sofferenza.
Allora, la domanda non è se sia giusto dimenticare o ricordare, ma come farlo.
E come si fa?
Guardando senza paura. Né fuggendo il dolore, né abbracciandolo.
Essere lucidi. Vedere l’ingiustizia, riconoscerla, eppure non restarne prigionieri.
La memoria non è solo archivio, è anche artistica creazione.
Possiamo scegliere cosa portare con noi e come portarlo.
La gratitudine può essere un atto di libertà.
Non un obbligo, ma una scelta.
E questo maledetto, malcelato rancore?
Una catena che possiamo spezzare.
Guardiamo il nostro dolore, guardiamolo fino in fondo. Vedremo che non è più nostro.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, 2/25. Art by Stephen Stadif)
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