"La paura ti spinge a costruire gabbie. Guardati, e smetti di temere ciò che vedi" (Lao Bu-Shem)
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La paura per me era il barista che versava veleno nel mio bicchiere. Il barista ero io, mi ubriacavo di paure in un carcere lo costruito da me, mattone dopo mattone, ogni volta fingevo di non riconoscermi nello specchio.
È una gabbia viva, che si nutre delle trepidazioni. Apri gli occhi: il mostro sei tu. Ho impiegato 21 anni per capirlo.
Sopravvivere per me iniziò quando presi a guardare il buio senza tremare, ascoltando il silenzio. Passai del tempo in una clinica, la gabbia divenne una stanza vuota.
All'inizio più scavi per uscire, più la fossa si allarga. Mi sono fermato. La libertà è un atto di resa.
Io non ci credevo a queste cose dell'anima, ma poi ho capito che l’anima fabbrica prigioni per costringerti a incontrare i fantasmi. Solo loro possono aprirti la porta. Lo so, quando ne parlo mi prendono per matto.
Da un po' di tempo ho capito che non c’è chiave, né gabbia. C’è solo uno specchio infranto. C'è da guardare oltre i frammenti. E non c’è da temere.
Osservo la mia gattina arrampicarsi nel mobile dove un tempo allineavo le bottiglie. Ora, sono vuote, impolverate, tombe dimenticate.
Nia giocherella con un raggio di sole, acciambellandosi dove prima marciva il silenzio.
Sorrido, sfiorando la polvere con uno sguardo che non brucia più. Quel mobile custodisce finalmente la vita.
(A. Battantier, Memorie di una dipendenza, Memorie di un amore, PM, 2/25)
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