La vecchiaia è un deserto vasto e silenzioso. Un giorno scopri che il tempo ti ha scavato dentro dune di memoria, e il vento porta via i dettagli più cari e ti ritrovi a contare le pillole e a fissare il soffitto.
La carne si fa estranea, guardi le tue mani, il tremore, la pelle che si arrende, e capisci che l’umiliazione è l’ultimo atto della commedia.
La cosa più spaventosa è che tutto continua. Il sole sorge, la gente ride nei bar, i bambini crescono e gridano nei parchi, e tu sei ancora lì, come un fantasma nel tuo corpo, sentendo che il tuo posto si assottiglia.
In certe sere, ti lascia scrutare nel tempo come fosse un fiume che scorre al contrario, solo il cuore resta lo stesso.
E quando la notte cala, e sei solo con i tuoi versi e il vento che sfiora le finestre, sai che c’è ancora un focherello che arde, anche se fioco, anche se fragile.
La memoria tradisce. Ricordi un’infanzia diversa, un amore più intenso, un dolore più vero.
Ma è solo la nebbia della mente che rielabora e inganna, un puzzle con pezzi mancanti.
Forse la vecchiaia è solo l’anima che si stacca piano dal corpo, imparando a fluttuare altrove.
È il momento in cui si smette di cercare un senso, perdendosi nel mistero, risolvendolo nell’illusione che il tempo abbia un confine.
Ma il tempo è una proiezione della mente, e quando lo si comprende, la vecchiaia scompare. Rimane solo l’essere, nudo, vasto, senza età.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, 2/25. M. Thompson Nati)
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