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Visualizzazione dei post da dicembre, 2024

🎸 ADDIO PAOLO BENVEGNÙ (Se non si riesce a stare bene nel mondo, allora bisogna crearsene uno proprio)

🎸 ADDIO PAOLO BENVEGNÙ (Se non si riesce a stare bene nel mondo, allora bisogna crearsene uno proprio) Siamo l' attimo fuggente ma la musica che suoniamo è per sempre.  Il mondo è piccolo. Ho appreso la notizia in un bar, ho visto un uomo alto con le spalle curve, osservava fuori dalla vetrina. Aveva le mani intrecciate sul tavolo, le unghie mordicchiate. Un giovane con i capelli rasati e il giubbotto di pelle è entrato, sfiorandogli il tavolo con lo sguardo prima di sedersi due sedie più in là. Avevano lo stesso naso, gli stessi occhi appena infossati, lo stesso tremore alle dita, ma nessuno dei due l'ha notato.  Una donna, poco distante, sistemava i fogli di un quaderno azzurro. Scriveva con cura, ma la mano le tremava. Una frase scivolava sul foglio: “Madre, padre, mi puoi perdere?” Sospirava e guardava oltre il vetro. Una spiaggia affollata. Bambini correvano e si scontravano come onde. Un uomo alzò una bambina, facendola roteare in aria. Rise. Lei rise di rim...

DIVERSITÀ E SOMIGLIANZA DELLE EMOZIONI UMANE (il cuore poteva vincere, se solo gli si dava spazio per battere)

Il padre guardava lo schermo, la mappa delle emozioni intrecciata come una rete arruffata di pescatore. Stava preparando il congresso. Puntini colorati, fili sottili che andavano da "odio" a "gioia", da "paura" a "orgoglio".  Ogni cultura con le sue sfumature, le sue priorità. Ogni emozione, un continente invisibile. «Papà, sono tutte uguali, no?» disse la bambina, il viso piegato in un sorriso quasi curioso.   «No, sono diverse. Guarda qui, il "desiderio" non si lega mai al "rancore", ma da noi sì. E in Nakh-Daghestan, la "vergogna" si avvicina al "rimorso" più che altrove.» Il padre parlava come se stesse spiegando un'equazione complessa, con la solennità di un professore e il tono di chi ha bisogno di convincere sé stesso. La bambina rise. «Ma tutti si arrabbiano, si rattristano, si innamorano, no?»   Il padre esitò. «Sì, ma il modo in cui lo fanno... è diverso.»   «Come la pizza, allora.»   «Cosa c...

E ALLO SCOCCARE DELLA MEZZANOTTE INCONTRAI CLAUDE MONET

E allo scoccare della mezzanotte del 01/01/2025, pensò a tutto quello che non era diventata. "Un’ora esatta per la mia resurrezione," si disse, fissando il riflesso del suo viso sul fondo del bicchiere.  Occhiaie come promemoria, labbra serrate come dighe. Sul tavolo accanto, una pila di libri impolverati che non aveva mai finito, un pacchetto di sigarette e un'agenda aperta su una pagina vuota, schizzi, disegni.   Il suo problema, pensò, era l’ostinazione. Non si adeguava, certo. Ma che cos’era, alla fine, l’ostinazione, se non un modo elegante per chiamare la disperazione? Una voce dentro rispose che no, era speranza. "Vaffanculo alla speranza," mormorò, bevendo un altro sorso di vino.   Era sempre stata brava a illudersi che ogni anno nuovo fosse una sorta di confine. Eppure, il 2024 si era già sdraiato comodo sul divano del suo cervello, con le gambe allungate sul tappeto delle sue ansie.  "Brinderò a ciò che è stato," scriveva sul telefono, cercan...

NOI ANIMALI RESTIAMO ETERNAMENTE BAMBINI. SEMPRE INGENUI, SEMPLICI E FELICI

NOI ANIMALI RESTIAMO ETERNAMENTE BAMBINI. SEMPRE INGENUI, SEMPLICI E FELICI.   E COME MAI NON DIVENTATE ADULTI?   ABBIAMO SCOPERTO CHE È MEGLIO.  (Bruno Bozzetto) *** Gli adulti si scordano perfino come si fa a grattarsi dietro l’orecchio per il puro piacere di farlo.  Gli animali hanno capito il trucco: il rifiuto della complessità.  Si svegliano, respirano, esistono.  È una leggerezza che a noi manca, corrono nel vento, ignorando l’inutilità del tutto.  Chi è il bambino, alla fine?  Chi non sa nulla o chi si affanna a dare un senso a ciò che non ne ha?   L'adulto, colmo di conoscenza e memoria, è una gabbia costruita dall’ego.  Ma il cane, l’animale, il bambino, vivono senza divisione, senza confini tra sé e il mondo.  Non è che non diventino adulti: hanno scelto la libertà dalla paura, dalla ricerca, dal tempo.  Noi, invece, inseguiamo risposte dove c’è solo essere. (A. Battantier, Memorie di un animale, Memor...

UN AMORE A ORVIETO (e il senso del tempo)

Orvieto era per Luigi una città sospesa su un monte, dove ogni cosa odorava di terra umida. Un giorno arrivò Maria, con i capelli spettinati e gli occhi da lupa (così almeno scrisse lui nei diari). Luigi la vide per la prima volta mentre rubava una mela dal mercato. Aveva tredici anni, lui poco più. «Non hai paura di essere presa?» le chiese.   Lei non rispose, mordendo la mela come fosse una sfida. Poi gli sputacchiò i semini addosso, dicendo: «Se vuoi ne prendo una per te».   Era così che le cose cominciarono tra loro.   La vita di Luigi a quell’epoca era un atto d’accusa: contro il padre autoritario, contro l’eterno rumore delle campane che scandivano le ore, contro la noia che si insinuava come un’ombra lenta.  Maria era l’eccezione, un cortocircuito nella sua adolescenza già intrisa di malinconia.   Ogni giorno, dopo scuola, si incontravano sul bordo della rupe, osservando il mondo sottostante come se fosse un pianeta distante.  Lei gli ...

LA STELLA

Non credo in Dio, né nelle sue tante declinazioni: spiriti, santi, profeti o pastori autoproclamati.  E non credo neppure nelle favole sacre, cucite male e ripetute come una filastrocca.  La realtà non ha bisogno di sovrastrutture divine per essere accettata: è complessa, affascinante e, talvolta, terribile di per sé.   Ho sempre avuto poca pazienza per i dogmi.  Da bambino osservavo le persone inginocchiate nelle chiese con la curiosità che si riserva a un’antica tribù, persa nei suoi riti.  Mi chiedevo: perché recitare parole che non capivano davvero, alzando gli occhi verso un cielo vuoto?  Mi sembrava un’esibizione senza senso, un’abitudine tramandata. I simboli religiosi?  Non mi hanno mai commosso.  Non sono altro che manufatti: croci, candele, statue dipinte.  Gli oggetti hanno valore solo quando li carichiamo delle nostre emozioni, non quando qualcuno ce li impone come sacri.   Eppure da bambino c’era un momento in cui ...

L'ALBERO DI NATALE (mettiamoci le storie dentro l'albero)

Oggi abbiamo fatto l’albero di Natale, la mia sorellina Marta di sette anni ed io. Non è un albero normale, però. È un albero di giocattoli.  Abbiamo deciso così, senza pensarci troppo, perché quando hai dieci anni e una scatola di pupazzi a portata di mano, tutto può succedere.  L’orso Bruno si è sistemato orgoglioso in mezzo, con un braccio piegato come a dire: "Guardate che capo sono." Poi ci abbiamo infilato le galline – sì, proprio quelle del nostro pollaio giocattolo – che sembravano divertirsi un sacco.  Marta ha voluto mettere l’aquila lassù in cima. Diceva che sembrava la regina dell’albero. Io non ero sicuro che fosse una buona idea, ma alla fine ho pensato che un’aquila poteva andare, anche se un po’ minacciosa.  Poi abbiamo aggiunto tutto il resto: il cavallo a dondolo (appollaiato su un ramo traballante), il pirata con la gamba di legno, un nido con un uovo di legno, Pikachu e vari altri Pokémon, i canuzzi dei Paw Patrol, la fatina di Marta, la mia tigre...

QUELLO CHE AVREBBE POTUTO ESSERE (Dove non avrebbe lasciato che la paura gli scavasse un buco nello stomaco)

La pioggia batteva sulla lamiera del tetto, dita ossessive, un ticchettio incessante. Victor sedeva al tavolo della cucina.  "Non si torna mai indietro, lo sai, vero?" disse Alma, appoggiata al lavandino.  La luce al neon sopra di lei le dava un'aria di santo scolorito, il viso scavato dalla stanchezza.   Victor fece spallucce. "Non ho mai avuto un avanti, figurati un indietro."   "Non ti senti mai come una sedia zoppa? Sempre sul punto di crollare ma che ancora non cede?" chiese Alma, quasi a sé stessa.   Victor rise. "Io? Sono più una sedia senza gambe. Mi sono seduto così tanto sulle possibilità che mi sono marcite sotto il le chiappe."   Ma le sue parole erano un alibi. Sapeva cosa voleva dire Alma. Sapeva che c’era un universo, o mille, dove avrebbe preso quella decisione giusta al momento giusto. Dove non avrebbe lasciato che la paura gli scavasse un buco nello stomaco.  Il passato ci sventola davanti come una bandiera bucata....

I TESTI(COLI) DI TONY EFFENCULO

Ho tentato, prudentemente, un approccio critico, nell'analizzare il linguaggio, i temi e i messaggi impliciti ed espliciti di questo minchione.  Il trap, come genere musicale, nasce come evoluzione del rap, con radici nelle periferie urbane statunitensi.  È una forma di narrazione che spesso riflette ambienti marginalizzati, segnati da violenza, povertà e illegalità.  Epperò, il trap è intriso di ostentazione e machismo, e porta avanti stereotipi di genere da fare raccaponare la pelle.  Nei testi di Tony Effe e della Dark Polo Gang, emergono costantemente, non solo, riferimenti alla ricchezza, al potere, ma anche alla sessualizzazione delle donne, che appaiono ridotte a meri oggetti di desiderio o status symbol. Nei suoi testi, le donne sono frequentemente descritte attraverso un linguaggio volgare, ridotte a figure subordinate, utili solo come strumenti di gratificazione sessuale.  L'enfasi ossessiva sull’ostentazione, sul dominio e sull’aggressività riflette u...

IL KARMA IMMEDIATO

L’orso era lì, aggrappato all’ultima speranza. Un vecchio albero storto,offriva rifugio a quell'impaurito cuore palpitante.  La fragilità dell'orso era in contrasto con i fucili sotto, levati al cielo come oscene preghiere di morte.   "Lo prendo io!" gridò uno. Un altro, rispose: "Vedremo...intanto siamo già 2 a zero...ricordi la cerva...ah ah!".  Risate sguaiate, le bocche sporche di malevolenza.    L’orso si era arrampicato lassù per nascondersi dall'assurdità. In un altro mondo, in un'altra vita, avrebbe corso libero in una foresta senza confini. In questa, invece, era una sagoma, un bersaglio, un trofeo.   Il primo sparo partì. La pallottola lo mancò, infilzando invece un ramo che, con un tonfo, cadde ai piedi del secondo uomo.  "Tocca a me ora, amico," disse il secondo. Il terzo cacciatore, quello che si era autoproclamato leader del branco, scosse il capo, imprecando contro l’incompetenza dei compagni. “Ecco come si fa,” annunciò, spo...

L'AMORE CURA OGNI FERITA

Ho scoperto che quasi tutti hanno avuto o hanno ancora il cuore spezzato, ognuno cammina con i cocci in tasca, pezzi pungenti, schegge nella pelle.   Eccoci, tu e io, con i nostri palloncini gonfiati ad illusione.   Siamo rotti, ma con i frammenti ritroviamo   il gusto antico dei guaritori improvvisati.   Lascia che ripari il tuo cuore, anche se ancora io non so come riparare il mio.   E tu mi guardi salendo le scale, sapendo che chi ha il cuore a pezzi è il solo che possa incollare gli altri.   Un passo avanti e due indietro. Io pompo aria nelle tue speranze, tu rattoppi i miei silenzi.   Un giorno, forse, voleremo davvero, vale la pena provarci.    Eccoti, con il cuore che pende, fragile come il vetro. Non guariremo mai del tutto, sai?  Tu sorridi, e questo basta.   La guarigione non è possesso, è lasciare andare, imparare a vivere, anche quando l’aria manca.   E lì, dove ci separi...

UN CUORE ACCESO SEMPRE

La piccola Maria Sole stringeva la mano del padre, le dita fredde nascoste nel guanto. Camminavano fianco a fianco, accanto alla fontana, su un pezzo di cartone umido, sedeva il solito signore degli accendini. Cappotto sdrucito, barbetta grigia, un bicchiere di carta davanti, vuoto.  Maria Sole si fermò, tirando la mano del padre. Lui fece una smorfia, poi, come se ricordasse qualcosa, infilò una mano in tasca e lasciò cadere una moneta nel bicchiere.   Maria Sole lo guardò, gli occhi pieni di quella trasparenza spietata che solo i bambini sanno avere: “Papà, perché hai dato i soldini a quel signore?”   Lui rise, una risata leggera: “Perché questi sono i giorni di Natale, tesoro.”   Maria Sole rimase immobile: “Ma noi passiamo qui da lui tutti i giorni dell’anno e tu gli dici sempre di spostarsi. Gli dici che non ti serve niente. Non gli hai mai dato niente prima.”   Il padre si fermò, guardandola come se avesse visto qualcosa che non capiva:...

LETTERINA A BABBO NATALE

Babbo Natale, tu vieni da un luogo lontano, come me e la mia famiglia. Da te è coperto di neve e luci, le case profumano di biscotti e fuoco acceso, le strade brillano di colori che sembrano stelle cadute sulla terra.  Da noi invece c'è solo sabbia e alle volte tanto fango e poi di nuovo sabbia. Da noi la neve non arriva mai, la luce si spegne presto e la notte fa paura e dura di più.  Tu che arrivi con una slitta carica di doni, perché non ti fermi mai qui?  Forse perché non abbiamo camini?  O perché non abbiamo luci a indicarti la strada?  O forse, Babbo Natale, passi oltre perché da qui hai già preso tutto ciò che potevi?   Non voglio giocattoli, voglio solo che tu ascolti, che ti fermi per un momento, prima di correre via con le renne, e che guardi bene dove sei. Guarda gli alberi che non danno più frutti perché qualcuno li ha tagliati per farne tavoli dove altri mangeranno.  Guarda i fiumi che non sono più azzurri, ma scuri e pesanti e inquin...

L'INCIDENTE DI CACCIA (ci doveva essere qualcosa)

La nebbia era densa e gli alberi sembravano fantasmi intenti a spiare le due figure che si muovevano nel bosco, affondando gli stivali di gomma nel fango, pieni di quel tipo di eccitazione mista a paura.   “Lo senti?” chiese Andrea, con un soffio che si scioglieva nell’aria fredda.   “Non sento niente,” rispose Marco, ma le mani erano tese intorno al fucile.  In lontananza, un cane abbaiò, un suono piccolo si allargò nel vuoto. Andrea sorrise. “Ci sarà qualcosa. Ci deve essere per forza qualcosa.”   Qualcosa. Non era importante cosa: una lepre, un fagiano, un cinghiale, un passerotto. Bastava quel movimento improvviso, il rumore di foglie calpestate.  La sensazione di possedere il momento, l’illusione di essere più forti, più grandi di quel respiro che attraversava il bosco.   Marco si fermò, scrutò tra i tronchi. “Là,” disse. Puntò il fucile.   “Dove?” Andrea si girò, incespicando su una radice. Fece per aggiustarsi il cappucc...

L'UOMO CHE SEGUIVA LE OMBRE (sembrava di essere entrati nel sogno di qualcuno)

Faceva freddo lungo la strada, ogni lampione gettava un’ombra sbilenca e lui camminava con le spalle curve, le mani in tasca e il cuore pesante. L’uomo dietro il bancone gli mise davanti un bicchiere senza chiedere niente. "Hai l’aria di chi non torna mai a casa," disse il barista, ma quello non rispose e allora il barista lasciò perdere.   Fuori dal bar, l’aria sembrava adesso ancora più fredda. Si fermò davanti a un lampione, gli sembrò di vedere una figura all’angolo della strada, una donna, o forse un’ombra.   La seguì, perché era quello che faceva. Seguire le ombre. Era il suo modo di tenersi in movimento, di non lasciarsi sprofondare del tutto. La figura si allontanava senza fretta, come se sapesse di essere osservata. Un vestito lungo, scuro, che si dissolveva nei contorni della notte.   "Chi sei?" disse a voce alta, ma le sue parole furono inghiottite dal silenzio.  Quando girò l’angolo, non c’era più nessuno. Solo un vicolo vuoto, una porta so...

L’AMORE CHE SI ESPANDE

L’amore è un’espansione che di tanto in tanto inciampa,   un passo falso prima di un volo.   Da dove nasce, non importa, c’è un’energia che non torna nei calcoli, un’espansione che non si ferma per dare spiegazioni.   L’amore mente con la memoria, la materia si disfa nelle mani e i numeri dell'infinito crollano come castelli di carta.   Cresceva il silenzio, sbriciolandosi parole nel vento, c'era una linea sottile -allora ancora invisibile- ma tu  scivolavi via tra le dita. Ricordo quando i cuori battevano a ritmi diversi, una distanza si dilatava e si contraeva, nel silenzio di una stanza vuota, e fuori il mare ad aspettare. L’amore è una regola cambiata in segreto.   Lo capisci tardi, quando guardi indietro, e ciò che si contraeva ora si espande, ciò che sembrava lontano diventa vicino, il nostro respiro.   Le stelle osservano dall’alto indifferenti, mentre noi ci spezziamo le mani in mille pezzi, tentando di fare e di capire...

NORA (l'idealizzazione ha un difetto: finisce per mancarti chi non è mai esistito. Come si dimentica qualcosa che non è mai esistito?)

Ogni volta che penso a Nora, mi torna in mente quando ho deciso che avrei smesso di cercarla in ogni donna che incontravo. Eppure, eccola lì, nei miei pensieri, nei miei errori.  La sua presenza era una trappola, un filo invisibile che tirava fuori il peggio di me, il narcisista, l’ossessionato, il paranoico. La sua assenza?  Peggio ancora.  Ma Nora non esisteva, non esisteva nel modo in cui l’avevo plasmata.  Forse esisteva una Nora vera, con difetti, paure, banalità.  Ma io non la volevo quella Nora, volevo quella perfetta.  E questo mi condannava a inseguire il nulla, a innamorarmi dell’idea di lei, non di lei.   Il silenzio nella stanza è un coltello. Lo sento, lo vedo.  È Nora che non c’è, ma è dappertutto.  Si muove nei miei pensieri, un’ombra, una fiamma, e non si spegne mai.  La sua voce mi parla nelle notti vuote.  Ho provato a dimenticare, a non pensarci.  Ma come si dimentica qualcosa che non è mai esistito?...

CIÒ CHE ARRIVA (e nel vedere, il fare diventa inevitabile)

Ciò che arriva non aspetta, non ha tempo di chiederti permesso, spalanca porte con un calcio, tu te ne stai lì, magari, solo nudo e storto, eppure ce la fai. Respiri, lotti e poi ci riesci. E se non riesci, c'hai provato anche se non ce la fai.  Il peso è tuo, nessuno ti insegna a portarlo, le spalle si curvano, il collo si piega, alle volte d'improvviso (o poco a poco) sai come reggerlo.   Il desiderio di fuga ti abbandona piano, ti sorprendi a restare, ad imparare la lingua di ciò che pensavi fosse estraneo.   Lo fai per il bambino che cadeva e si rialzava   senza chiedersi perché.   Lo fai perché non sai fare altro.   Non è solo coraggio, è un gesto antico che a malapena si ricorda.   E poi non sei più tu.  C’è solo ciò che accade, attraverso di te.   Tu guarda. Solo guarda.   E nel vedere, il fare diventa inevitabile. (A. Battantier, Memorie di un bambino, Memorie di un amore, Mip Lab, 2002) #m...

LIO E I SIGNORI DELLE TORRE

Lio, un bimbo di 10 anni, viveva in una città grigia, in un mondo che non capiva.  Era un mondo in cui i grandi parlavano solo di guerre, di nemici invisibili, e di armi sempre più grandi e costose. Lio si domandava perché gli adulti sembrassero sempre arrabbiati o spaventati. Un giorno, mentre giocava con i sassi vicino al fiume, Lio sentì due uomini discutere. Uno di loro aveva una voce così forte e sicura che sembrava non aver mai dubitato di nulla in vita sua. Diceva che c’era un grosso pericolo da qualche parte oltre le montagne, e che bisognava costruire più spade, più armature e più catapulte.  Il secondo uomo scuoteva la testa e gli rispondeva che non si vedeva nessun pericolo. "Non ci sono nemici," diceva, "ma solo ombre che proiettiamo noi stessi." Lio non capiva tutto, ma si ricordò delle storie che la nonna gli raccontava, storie di draghi e cavalieri.  Si chiese se i grandi non stessero inventando un drago per poter essere eroi.  “Ma se non c’è un drago...

L’ATTUALE STATO DELLA SCUOLA ITALIANA (L’importanza della scuola pubblica, la formazione degli insegnanti e la missione di educare alla libertà)

Il sistema scolastico italiano è afflitto da un malessere profondo. I giovani italiani, oggi, sono tra i peggiori in Europa per comprensione del testo e per matematica, secondo i dati dell’Ocse. Eppure, la scuola pubblica, quella che il popolo italiano ha conquistato con tanto dolore e speranza, è un luogo che può ancora, forse, riscoprire la sua missione. La missione di educare alla libertà. Libertà, la possibilità di scegliere, di pensare, di essere coscienti del mondo che ci circonda. Ed è proprio questa coscienza che la scuola italiana sta smarrendo, mentre la Finlandia sembra essere, al contrario, un modello di ciò che si potrebbe fare. La Finlandia ha costruito il suo sistema educativo attorno a un concetto che, almeno teoricamente, ha poco a che fare con l’idea di competizione o di classi sociali. Lì, la scuola pubblica è il centro nevralgico della società. La sua universalità è una condizione essenziale: l’educazione di qualità è accessibile a tutti, e non è un privilegio riser...