DIVERSITÀ E SOMIGLIANZA DELLE EMOZIONI UMANE (il cuore poteva vincere, se solo gli si dava spazio per battere)
Il padre guardava lo schermo, la mappa delle emozioni intrecciata come una rete arruffata di pescatore. Stava preparando il congresso. Puntini colorati, fili sottili che andavano da "odio" a "gioia", da "paura" a "orgoglio".
Ogni cultura con le sue sfumature, le sue priorità. Ogni emozione, un continente invisibile.
«Papà, sono tutte uguali, no?» disse la bambina, il viso piegato in un sorriso quasi curioso.
«No, sono diverse. Guarda qui, il "desiderio" non si lega mai al "rancore", ma da noi sì. E in Nakh-Daghestan, la "vergogna" si avvicina al "rimorso" più che altrove.» Il padre parlava come se stesse spiegando un'equazione complessa, con la solennità di un professore e il tono di chi ha bisogno di convincere sé stesso.
La bambina rise. «Ma tutti si arrabbiano, si rattristano, si innamorano, no?»
Il padre esitò. «Sì, ma il modo in cui lo fanno... è diverso.»
«Come la pizza, allora.»
«Cosa c'entra la pizza?»
«Tutti la mangiano, ma in Giappone ci mettono l'ananas, in Italia gridano se lo fai, e in America la chiamano "deep dish". Ma è sempre pizza.»
Il padre sospirò, grattandosi la nuca.
«Non è così semplice Betta. Le emozioni sono legate alla cultura, alla storia. Sono...sfumature che raccontano chi siamo.»
La bambina non rispose subito. Si avvicinò allo schermo, fissando i fili, le connessioni.
«Papà, ma anche le emozioni le possiamo allenare?»
«Allenare? Che vuoi dire?»
«Come i muscoli. Tipo, se una persona è sempre arrabbiata, può allenarsi a essere meno arrabbiata, no? O se uno è triste, può fare esercizi per essere più felice.»
Il padre si mise a ridere, una risata breve, secca.
«Non è palestra, Betta. Non funziona così.»
La bambina si voltò, gli occhi grandi, seri. «E perché no? I calciatori allenano i piedi, i musicisti le mani. Perché non possiamo allenare il cuore? Così vince il cuore, papà.»
Il padre rimase zitto. Sullo schermo, la mappa delle emozioni sembrava respirare, viva, pulsante. Fili invisibili che legavano persone, popoli, continenti.
«Boh...guarda...ci devo pensare, » disse infine il papà.
In quel momento, la bambina sorrise e disse una cosa così semplice che sembrava impossibile non averci mai pensato:
«Siamo tutti uguali, papà. Solo, ci emozioniamo con accenti diversi.»
Il padre spense lo schermo, lasciando la stanza nel silenzio.
La bambina corse in giardino, mentre il padre rimase lì, solo, con quella frase che gli rimbombava nella testa.
La sera, al tramonto, si sedettero insieme sotto l’albero di limoni. «Sai, Betta,» accennò il padre, «forse allenare il cuore non vuol dire cambiare le emozioni, ma accettarle. Tutte quante. Senza paura.»
E lì, sotto il cielo che si arrossava, il padre capì qualcosa che aveva sempre evitato di vedere: non bisognava solo mappare il mondo delle emozioni; il cuore poteva vincere, se solo gli si dava spazio per battere.
(A. Battantier, Memorie di una bambina, Memorie di un amore, Mip Lab, 12/24)
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