Mi ha detto che la vita non è altro che un disastro con qualche attimo di tregua.
Il Parkinson, con la sua precisione sadica, ti porta a sbattere contro il muro più duro: l’impotenza.
Che fai quando le mani tremano e non riesci più nemmeno a tenere il bicchiere? Bevi, fino a che puoi. Poi smetti.
Guardi il corpo che si consuma, quella maledetta macchina che tradisce, e realizzi che non c’è redenzione, non c’è poesia.
Solo resistenza, fino a quando ne hai. E poi?
Poi crolli, lasci perdere la farsa, accetti il caos.
Il corpo, sempre lui, la prigione e il tempio, la sorgente del piacere e del tormento.
Il Parkinson è un tradimento, ma anche un maestro brutale: ti ricorda che sei schiavo della carne.
È un teatro crudele, dove l’attore principale è sempre in declino, e tu non puoi far altro che guardare.
Ma c’è una perversa lucidità in tutto questo. La fragilità, l’orrore, mettono a nudo ciò che la vita è sempre stata: una lotta tra il desiderio di controllo e l’ineluttabile necessità di lasciarlo andare.
Forse l’unico atto di libertà, di ribellione, è quello di assistere al dramma senza voltarsi.
Ci sono giorni in cui il silenzio del corpo è più forte delle parole. Non resta nulla, se non la lentezza che scava, che logora.
Il Parkinson è un inverno senza fine, il tempo si sgretola, il mondo diventa più piccolo, più ristretto.
Nel restringersi, forse, si concentra. Si vede meglio ciò che resta: un gesto, uno sguardo, un respiro che ancora c’è.
E dentro quel nulla, in quel vuoto, si nasconde una sorta di verità: vivere è anche sopravvivere, e la bellezza non sta nella forza, ma nel semplice atto di continuare a essere.
C’è una poesia anche nella decadenza, ma è una poesia difficile da accettare.
Il Parkinson scrive versi storti sul corpo e sull’anima, versi che non seguono alcuna metrica se non quella della perdita.
Sì, la sofferenza è un maestro implacabile, e il Parkinson ne è una delle voci.
Ma il dolore non è il nemico, è la resistenza al dolore che ci distrugge.
Il Parkinson, come la vita stessa, non offre risposte, solo domande. È un terreno dove il corpo si sgretola e la coscienza si misura con i suoi limiti.
Ma in questa dissoluzione non c'è pace, forse non c'è accettazione, forse si può trovare la consapevolezza di essere parte di un flusso, un movimento che non si ferma mai, nemmeno quando sembra tutto fermo.
E in quel movimento, in quel paradosso, si nasconde, forse, il senso della vita: non capirla, ma viverla, con tutto ciò che porta.
(A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, 12/24)
#memoriediunamore
#MIPLab