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L'UOMO CHE VIVE(VA) NEL RIMPIANTO


Quando il vecchio si sveglia, il soffitto è un cielo bianco che non promette nulla. Resta lì, gli occhi fissi sul vuoto, a masticare il sapore acre dei giorni che furono. 

"Dove sono andati i miei sogni?" si chiede, ma la domanda non ha risposta. Non perché sia difficile da trovare, ma perché la risposta è già dentro di lui, pesante come una pietra nel petto: i suoi sogni sono morti, soffocati dalla prudenza, dal dovere, dalla paura di sbagliare.  

Vecchio, ti sei lasciato fregare. Hai dato tutto a chi non ti ha mai chiesto niente. Ti sei spezzato la schiena per un lavoro che odiavi, hai chiuso la bocca ogni volta che volevi urlare, e ora sei qui, a piangere il latte versato. 
La vita è un treno che passa, e tu eri troppo occupato a controllare i biglietti per salirci sopra.  

Ma forse non è mai stato il lavoro, né la famiglia, né le regole. 
È stato il silenzio che ti sei imposto. 
È stato il non guardare tua moglie negli occhi quando cercava di parlarti (ora, certo, lei ti strilla sempre nelle orecchie e te fingi di non sentire più), il non rispondere alle domande che tuo figlio ti faceva. 
Hai costruito un piccolo regno di cose giuste, ma hai lasciato fuori le persone. 
Hai lasciato fuori te stesso.  

Le ore non tornano, e lo sai. Nemmeno i giorni, le stagioni, gli anni. 
Eppure eccoti qui, a contarle come un vecchio contadino che pesa il grano prima della tempesta. 
Ma è tutto marcito, ogni chicco.
Ti chiedi perché non l’hai assaggiato quando era fresco, quando il sole era caldo e le mani erano forti. Ora, che ti resta? 
Solo il gusto amaro di quello che non hai fatto.

Potrà confortarti che ogni vita è piena di rimorsi. 
Ogni vita è un catalogo di errori, una lista di occasioni perdute. 
Ma il rimpianto è una malattia che consuma lentamente. 

Ti sei mai chiesto perché continui a pensarci? 
Perché non riesci a lasciare andare quel passato che ti stringe come un cappio? 

Forse perché non hai mai imparato a perdonarti. Eppure, senza perdono, come puoi essere libero?

Il tempo è una trappola, un’illusione che ci tiene prigionieri. 
Guardi indietro e vedi solo errori, ma chi è che giudica? Chi è che tiene il bilancio? 
È la tua mente, vecchio mio. La stessa mente che ti ha tenuto lontano dal presente. Hai vissuto nella paura di non essere abbastanza, di non fare abbastanza. 

Ma ora, in questo momento, puoi scegliere: puoi smettere di pensare al passato e vivere. Non domani, non tra un'ora. Adesso.  

L’uomo chiude gli occhi, ma il peso delle parole resta. Qualcosa lo scuote per le spalle, qualcuno lo accusa, lui sospira, rigirandosi sul letto-divano, lo consola un cappuccino alle 5 del mattino, l'alba ed un cinghiale là fuori al limitar del bosco lo invitano a liberarsi. 

E lui, appoggiato alla finestra, immobile, sa che tutte queste voci sono sue. 
La sua coscienza, la sua memoria, i suoi dubbi.  

Si muove, finalmente. 
Le gambe tremano, ma fanno il loro dovere. 
Si apre la finestra, il giorno fuori è grigio, senza promesse. 

Ma forse, pensa, non ha bisogno di promesse. 
Forse c’è ancora tempo, anche a ottantatré anni, per scoprire cosa significa vivere davvero.

(A. Battantier, Memorie di un amore, 12/2024)

***
E allora ci si chiede: «Dove sono i miei sogni?» e si dice, scuotendo la testa: «come vola in fretta il tempo!». 
E ci si chiede nuovamente «Che cosa ho fatto dei miei anni? Dove ho sepolto il mio tempo migliore? Ho vissuto o no?». (Fëdor Dostoevskij) 

#memoriediunamore 
#stephenstadif
#MIPLab 
#Dostoevskij



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