Lio, un bimbo di 10 anni, viveva in una città grigia, in un mondo che non capiva.
Era un mondo in cui i grandi parlavano solo di guerre, di nemici invisibili, e di armi sempre più grandi e costose.
Lio si domandava perché gli adulti sembrassero sempre arrabbiati o spaventati.
Un giorno, mentre giocava con i sassi vicino al fiume, Lio sentì due uomini discutere.
Uno di loro aveva una voce così forte e sicura che sembrava non aver mai dubitato di nulla in vita sua. Diceva che c’era un grosso pericolo da qualche parte oltre le montagne, e che bisognava costruire più spade, più armature e più catapulte.
Il secondo uomo scuoteva la testa e gli rispondeva che non si vedeva nessun pericolo.
"Non ci sono nemici," diceva, "ma solo ombre che proiettiamo noi stessi."
Lio non capiva tutto, ma si ricordò delle storie che la nonna gli raccontava, storie di draghi e cavalieri.
Si chiese se i grandi non stessero inventando un drago per poter essere eroi.
“Ma se non c’è un drago vero,” pensò, “a chi servono tutte quelle spade?”
Una sera, suo padre tornò a casa più stanco del solito. Disse che al mercato non c’erano più abbastanza frutti da comprare e che i pochi rimasti costavano troppo.
Lio si accorse che il cibo in tavola era meno del solito. “Papà,” chiese timidamente, “perché non possiamo comprare più cibo?”
Il padre sospirò e rispose: “Perché i signori delle torri usano i nostri soldi per costruire altre mura e catapulte, invece che aiutare chi ha fame.”
Lio immaginò quei signori delle torri. Li vide come uomini grandi e severi, che giocavano con delle pedine su una scacchiera gigantesca.
“Perché lo fanno, papà?”
“Dicono che ci proteggono. Ma da cosa, non lo so più.”
Il bambino restò in silenzio. Non capiva perché si dovesse rinunciare al pane per combattere battaglie che nessuno aveva mai visto.
Non capiva perché i grandi parlassero sempre di paura, ma mai di sogni.
Passarono i giorni, e la città diventava sempre più triste. Le case cadevano a pezzi, e molti bambini come Lio dovevano rinunciare ai giochi.
Un giorno un vecchio dalla lunga barba bianca si fermò in mezzo alla piazza e parlò:
“Un tempo, la gente si stringeva le mani invece di stringere le spade. Si costruivano ponti, non mura. Dove sono finite quelle storie? Dove sono finiti i sogni che ci hanno resi grandi?”
La folla si fermò, e per un momento tutti parvero ricordare qualcosa di lontano.
Lio si avvicinò al vecchio e chiese: “Perché i signori delle torri non costruiscono più ponti?”
“Perché hanno paura, piccolo,” rispose il vecchio. “Hanno paura che il mondo oltre le mura sia troppo grande per essere controllato. E così, invece di abbracciarlo, lo combattono.”
“Ma combattere non ci rende più felici,” disse Lio. “Ci rende solo più poveri e tristi.”
Il vecchio annuì. “Hai ragione, piccolo. E sai una cosa? Forse saranno proprio i bambini come te a ricordarlo ai grandi.”
Quella sera, Lio tornò a casa, si sedette accanto alla finestra e guardò le stelle.
Sognò un mondo in cui le torri si trasformavano in giardini e le spade in strumenti per coltivare la terra.
Forse, pensò, il futuro avrebbe potuto essere diverso. Ma quel futuro, lui lo avrebbe raccontato a tutti, per non lasciarlo svanire come un sogno dimenticato.
(A. Battantier, Memorie di un bambino, Memorie di un amore, Frammenti per l’apocalisse, Mip Lab, 12/24)
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