Passa ai contenuti principali

VIVERE PER SEMPRE, PERCHÉ LO VOGLIAMO? (Siamo parte di un movimento senza fine)

Ti siedi con una birra  tra le mani, ascolti una canzone come questa e, senza volerlo, ti ritrovi a piangere come un idiota. "Who wants to live forever?"

C'è qualcosa di perversamente umano nell’idea di vivere per sempre, come se la nostra esistenza fosse un bicchiere mai abbastanza pieno. 

Il tempo ci fruga nelle tasche e ci lascia solo il conto da pagare, epperò eccoci qua, a desiderare ciò che non possiamo avere, a sperare che ci sia qualcosa di aperto anche dopo la fine di tutto. 
Ridicolo. Eppure, irresistibile.  

È una questione di possesso?
Vogliamo vivere per sempre perché abbiamo un dannato terrore di perdere quello che abbiamo accumulato: i nostri amori, le nostre ossessioni, i nostri rimpianti. 

Non è tanto la morte a far paura, quanto il pensiero di abbandonare la scena.
È la vanità del vivere che ci spinge a desiderare l’immortalità, quella stessa vanità che ci fa costruire monumenti, scrivere libri, generare figli. 

Eppure, ogni volta che ci interroghiamo su ciò che potrebbe esserci dopo, maledizione, la vita è uno spettacolo in cui il sipario cala sempre troppo presto.  

Non c’è risposta. La vita è. 
La morte è. 
Non c’è nulla di più, nulla di meno. 

Il cuore del paradosso umano è sapere che siamo finiti, eppure sogniamo l’infinito.

Credo sia nella nostra natura inventare storie (quante ne racconto!), e forse il nostro desiderio di vivere per sempre non è che un’altra menzogna che raccontiamo per sopravvivere al silenzio che ci aspetta.  
  
Le stelle ci guardano, indifferenti. 
Gli alberi crescono e muoiono senza chiedersi perché. 
Solo noi, con le nostre mani tremanti e le nostre teste piene di domande, osiamo affrontare l’eternità con lo sguardo. 
Non per comprenderla, ma per sfidarla.
Vivere per sempre è il sogno di chi non accetta di essere una piccola parte di un vasto universo che si muove senza di noi. 

Più che speranza, ho dentro una dolce rassegnazione. 
 
Vivere per sempre, perché lo vogliamo? 
La paura della morte non nasce solo dal non sapere cosa accadrà, ma dal nostro attaccamento a ciò che crediamo di essere. 

Vivere per sempre implica portare avanti l’illusione del sé, un sé che è una costruzione temporanea fatta di memorie, pensieri e desideri. 

L’immortalità che cerchiamo non è reale, perché nulla che sia parte del tempo può esistere al di fuori di esso. 

Tuttavia, c’è qualcosa di eterno in noi, ma non è personale. 
È la vita stessa, il movimento dell’universo che ci attraversa e si rinnova in ogni istante.  

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Il nostro corpo, così fragile, è fatto di atomi che hanno viaggiato per miliardi di anni. Materia che ha visto il Big Bang, stelle che si sono accese e spente, polvere che si è raccolta per formare pianeti. 
Persino noi, nei nostri sputacchiosi limiti, siamo parte di questo eterno ciclo. Ogni particella del nostro corpo ha una storia più lunga della Terra stessa. 
Non c’è nulla di nuovo nell’universo, ma è l’ordine in cui tutto si combina a essere meravigliosamente unico.  

Forse è qui la vera immortalità: non nel vivere per sempre come individui, ma nel sapere che siamo parte di un movimento senza fine. 
Non siamo più vecchi o più giovani di una stella. Siamo fatti della stessa materia, della stessa energia. 

E va be', il nostro sé svanirà, ma ciò che ci compone continuerà a svolazzare nell’infinito. 


(A. Battantier, Memorie di un amore, Mip Lab, 2020/2024. Art by Stephen Stadif)

#memoriediunamore 
#stephenstadif 
#MIPLab 

Post popolari in questo blog

SPESSO IL PUNTO DEBOLE DI UNA PERSONA È SEMPLICEMENTE UN'ALTRA PERSONA

"Ci piaccia o non ci piaccia, l'Altro ha un altro Altro. Talvolta giungiamo a vederlo, ma ci vogliamo illudere che sia sempre lo stesso.  E invece è l'Altro dello Stesso.  Ma lo Stesso non è più lo stesso.  È anche qualcos'altro: l'Altro.  Questo vale anche per noi, ci piaccia o non ci piaccia". (M. Thompson Nati, Paradoxes of ego,1995) "Tu hai ciò che sei.  L'essere si può modificare.  Non farti portare dai tuoi sogni.  Conduci i tuoi sogni alla realtà del tuo essere" (Lao Bu Shem)

IL SIGNIFICATO

"Tu decidi qual è il significato della tua vita. La gente parla del significato della vita, ma ci sono tanti significati di vite diverse e tu devi decidere quale vuoi che sia il tuo". (J. Campbell)

CHI TROPPO MOLTO NULLA NIENTE

CHI TROPPO MOLTO NULLA NIENTE. "Che poi è il problema mio. Io voglio tanto troppo e alla fine non ottengo nulla. Forse dovrei accontentarmi, ma non nel senso del rassegnato. Bu, non so. Forse quello che ho mi dovrebbe bastare per darmi la carica per andare avanti senza soffrire per quello che non ho. Insomma me sò incartato. Voglio dire, dovrei usare quello che ho per andare avanti, altrimenti resto sempre a mani vuote, con questo senso di lamentela e di tristezza che mi assale perché non ho le cose, perché non ho raggiunto me stesso. Ma me stesso eccolo, son io, son qua. Ho  problemi con il concetto di fallimento, perché tante volte mi sono trovato ad intraprendere dei percorsi. Per poi finire nei burroni del fancazzismo, nelle selve delle indecisioni perenni. Non mi ero mai chiesto però quanto dipendesse da me, e dalle mie posizioni iniziali, ovvero volere la luna senza neanche essere sceso dal letto. Vuoi qualcosa? Inizia a trovare le ciabatte, inizia a vestirti, in...

Mi chiamo Andrea Giovanni Battantier, psicologo in un Consultorio

(Dedicato a mio padre e al papà di Antonio Leotti) Me ne sono andato pensando all'errore di lasciare solo mio padre, Antonio Gennaro Battantier, nato a San Casciano dei Bagni, agricoltore, uomo retto e gran lavoratore. Ho cercato per anni la perfezione, seminando errori, che poi ho coltivato, cucinato e mangiato. Mio padre da me si aspettava ben altri raccolti. Mi chiamo Andrea Giovanni Battantier, psicologo in un Consultorio, e sono ossessionato da mio padre, che un bel giorno lascia tutto in campagna e si mette a cercarmi, finendo barbone. E' stata mia la colpa? Io me ne partii per rinascere uomo. Lui per morire da bambino che non fu. Mio padre che non mi parlava, e mi scriveva belle lettere con la sua penna antica. Io leggevo quei pesanti fogli e sì, mi commuovevo, ma mai una volta poi trovai il coraggio di rispondere. Io parlavo bla bla bla, e lui scriveva ccccccccccc. Io un bel giorno lo trovai sulla panca del mio Consultorio, con la barba e quel suo essere ormai sperso e ...