Ho tentato, prudentemente, un approccio critico, nell'analizzare il linguaggio, i temi e i messaggi impliciti ed espliciti di questo minchione.
Il trap, come genere musicale, nasce come evoluzione del rap, con radici nelle periferie urbane statunitensi.
È una forma di narrazione che spesso riflette ambienti marginalizzati, segnati da violenza, povertà e illegalità.
Epperò, il trap è intriso di ostentazione e machismo, e porta avanti stereotipi di genere da fare raccaponare la pelle.
Nei testi di Tony Effe e della Dark Polo Gang, emergono costantemente, non solo, riferimenti alla ricchezza, al potere, ma anche alla sessualizzazione delle donne, che appaiono ridotte a meri oggetti di desiderio o status symbol.
Nei suoi testi, le donne sono frequentemente descritte attraverso un linguaggio volgare, ridotte a figure subordinate, utili solo come strumenti di gratificazione sessuale.
L'enfasi ossessiva sull’ostentazione, sul dominio e sull’aggressività riflette un modello di mascolinità radicato nella competizione e nella violenza simbolica.
Fateci caso: nel trap gli uomini affermano il proprio valore attraverso denaro, potere e controllo delle donne.
Smantellare questo paradigma significa rifiutare l’idea che la virilità debba essere definita attraverso il dominio e il possesso.
A faticosissima difesa, per quanto criticabili, i testi di Tony Effe e simili possono essere anche letti come espressione di un disagio sociale.
La cultura trap nasce in un contesto di esclusione, dove la ricerca di riconoscimento passa attraverso l’esibizione di tutto ciò che la società borghese considera “successo”.
Questo, però, non giustifica l’adozione di una narrativa che perpetua dinamiche di oppressione.
Tali testi riflettono le conseguenze di un sistema che non offre altri modelli di affermazione, se non attraverso il potere e la mercificazione.
Sarebbe interessante e originale se qualche artista iniziasse a usare il linguaggio del trap per sfidare tutto questo.
Si potrebbe immaginare un contenuto musicale che utilizzi lo stesso linguaggio diretto, ma per smontare i paradigmi che oggi fieramente sostiene.
Non so, per dire, parlare di donne non come oggetti, ma come soggetti autonomi, e della mascolinità non come dominio, ma come relazione. Troppo!?
I miseri testi(coli) di Tony Effe non vanno solo criticato, occorre tenta di decostruirli e immaginare alternative.
Ad esempio, una reinterpretazione nuova potrebbe ribaltare il significato delle parole, evidenziando come le stesse strutture di potere e privilegio che i testi glorificano siano, in realtà, oppressive per tutti, compresi gli uomini che vi aderiscono.
Troppo, lo so, del resto che vuoi chiedere a Tony Effenculo.
Si potrebbe rispondere alla visione stereotipata della donna con narrazioni che esaltano l'autonomia, la complessità e la forza delle donne, oppure, affrontare la mascolinità tossica, ridefinire cosa significa "essere uomo" al di fuori di confini rigidi e distruttivi.
Lo ammetto, avrei preferito, da un lato, di restare nell’ignoranza rispetto a certi contenuti, eppure, il confronto con essi offre un’opportunità per riflettere sulle radici culturali delle disuguaglianze di genere e sulla loro riproduzione nella musica popolare.
Interpretare i testi(coli) di Tony Effe significa andare oltre il disgusto o il rifiuto, cercando di comprendere il contesto in cui tali obbrobri nascono e prosperano, per immaginare un futuro in cui la musica diventi uno strumento di emancipazione e liberazione.
(A. Battantier, Memorie di un'adolescente, Mip Lab, Manuela, Orì, Pry09, Vittoria B, 12/24)
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