Oggi abbiamo fatto l’albero di Natale, la mia sorellina Marta di sette anni ed io. Non è un albero normale, però. È un albero di giocattoli.
Abbiamo deciso così, senza pensarci troppo, perché quando hai dieci anni e una scatola di pupazzi a portata di mano, tutto può succedere.
L’orso Bruno si è sistemato orgoglioso in mezzo, con un braccio piegato come a dire: "Guardate che capo sono."
Poi ci abbiamo infilato le galline – sì, proprio quelle del nostro pollaio giocattolo – che sembravano divertirsi un sacco.
Marta ha voluto mettere l’aquila lassù in cima. Diceva che sembrava la regina dell’albero. Io non ero sicuro che fosse una buona idea, ma alla fine ho pensato che un’aquila poteva andare, anche se un po’ minacciosa.
Poi abbiamo aggiunto tutto il resto: il cavallo a dondolo (appollaiato su un ramo traballante), il pirata con la gamba di legno, un nido con un uovo di legno, Pikachu e vari altri Pokémon, i canuzzi dei Paw Patrol, la fatina di Marta, la mia tigre con i denti a sciabola e la figliuzza.
Non era un albero, era una storia. Una storia piena di cose che amiamo.
Era perfetto.
Poi è arrivata mamma.
Era appena tornata dal lavoro, con quella sua borsa enorme e lo sguardo che diceva: "Che avete combinato adesso?"
Ha posato le chiavi, si è avvicinata all’albero e ha detto:
— Ma cos’è 'sta roba?
Io e Marta ci siamo guardati. Non capivamo. Non era ovvio? Era il nostro albero.
Mamma non l’ha vista così. Ha iniziato a smontare tutto, come un tornado.
L’orso Bruno è stato il primo a volare giù. Poi l’aquila, le galline, e il nido con l’uovo.
Marta ha provato a protestare:
— Ma mamma, è il nostro albero!
Mamma ha tirato fuori dal sacchetto le palline rosse e bianche, tutte uguali, e le lucine che sembrano un po’ tristi, anche quando lampeggiano.
Quando ha finito, l’albero era perfetto. Così diceva lei. Io invece lo guardavo e non sentivo più niente. Non c’erano storie in quell’albero.
Marta si è seduta sul divano con le braccia incrociate.
Non parlava, ma sapevo cosa pensava.
Anche io lo pensavo.
Quello non era il nostro albero.
Era l’albero di mamma.
Bello, sì, ma senza nessuno dei nostri segreti.
Alla fine, ho detto:
— Mamma, ma perché non potevi lasciare almeno l’aquila?
Lei mi ha guardato sorpresa, come se non avesse mai pensato che una cosa del genere potesse essere importante. Ha sospirato e ha risposto:
— Perché le cose vanno fatte come si deve.
Come si deve.
Che frase orrenda.
Come se ci fosse un modo giusto di essere felici, e tutto il resto fosse sbagliato. Io e Marta non abbiamo detto altro, ma dentro di noi abbiamo deciso una cosa: l’anno prossimo, l’albero lo rifacciamo noi.
E magari stavolta mettiamo pure un drago, per tenerla lontana.
Alla sera, mentre guardavo il soffitto dal letto, ho pensato che mamma non è cattiva.
È solo… complicata.
Forse è la sua paura di non essere abbastanza a farle sistemare tutto così, in modo perfetto.
Ma la perfezione è noiosa.
E allora, magari l’anno prossimo mamma capirà. Capirà che gli alberi di Natale servono a essere vivi. Come le storie che ci metti dentro.
(A. Battantier, Memorie di un bambino, Mip Lab, 12/2024, Gianni e Marta, 10 e 7 anni. pH Gianni)
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